Una giornata a Vicenza con Chiara Francini

Ultimamente i protagonisti del cinema hanno iniziato a scrivere libri in maniera decisamente più professionale di un tempo. Non sono più attori prestati all’editoria ma scrittori a tutti gli effetti. Sarà che il cinema è pur sempre anche letteratura, è parola scritta anche quando non è recitata. Di fatto era parola anche il cinema muto.

Chiara Francini è un vulcano di energia e idee. Spazia tra i generi, lavora costantemente, si getta in mille progetti senza risparmiarsi. Dalla sua ha una grande abilità di parola e capacità di comunicazione, un’indubbia bravura recitativa e una naturale forza empatica. In sostanza Chiara ha tutte le carte in regola per una carriera in costante crescita e indirizzata sempre di più verso la qualità. Sa fare tutto e lo sa fare bene.

La aspettavamo con curiosità ed impazienza a Vicenza per il terzo appuntamento di “Cinema È Letteratura”, la rassegna ideata e curata da Luca Dal Molin con il contributo fondamentale di Mario Sesti. Chiara è arrivata in città presentandosi direttamente al Liceo Quadri per il consueto incontro con gli studenti, sempre gestito ed organizzato dalla Professoressa Roberta Lievore, altra colonna portante della rassegna.

Chiara Francini e Mario Sesti al Liceo Quadri

Mario Sesti si è soffermato sul successo clamoroso dei 4 libri finora pubblicati dalla Francini. “Forse – si è chiesto Sesti- è il grande potere delle storie. Tutti abbiamo bisogno di storie” Ed in effetti la forza della letteratura di Chiara Francini sta proprio nella sua capacità di raccontare, di far sognare chi legge.

“Scrivere un libro è un po’ come essere Dio – ha esordito sorridente Chiara –  significa immedesimarsi, provare un sentimento verso quei personaggi. Perché piace una serie tv? Perché ci si immedesima. Io penso che leggere significhi essere stimolati, ricevere input, instaurare un dialogo, una relazione. Ci colpisce quello che ci somiglia. Quello che stai vivendo in quel momento. Le responsabilità quindi sono tante ma tanto è anche il godimento.”

Chiara parla, di fermarla non c’è verso. Racconta la trama di “Un anno felice”, il suo terzo libro. E le sue parole rapiscono gli studenti, a dire il vero soprattutto le ragazze perché si sa, a 17 anni i maschietti non sono mica poi così romantici. E allora la vicenda di Melania e del suo amore per Axel, uomo del mistero, fanno calare il silenzio tra le classi presenti in aula magna. Si instaura un rapporto di complicità tra donne a prescindere dalle generazioni. “Le donne sono sempre un po’ masochiste – dice Chiara – ma la felicità in quanto tale (in amore e nell’amicizia) deve far sempre prevalere la luce sul buio”.

La Francini è una narratrice, e raccontare significa scegliere le parole giuste. Aggettivi, metafore, immagini. In questo è naturalmente perfetta. Ma non solo quando è “all’opera”. Passare un giorno con lei vuol dire accorgersi di come il suo modo di esprimersi sia sempre letterario ma mai per posa. Ragazza libera, difficile da imbrigliare, sicura di sé e di ciò che vuole, colta e determinata. Eppure sempre in contatto col fidanzato svedese con cui sta da moltissimo tempo ormai e che forma con lei una coppia di raro affiatamento. Non è un caso che l’Axel di “Un anno felice” sia proprio scandinavo.

“Beh si, tutti noi scriviamo di quello che siamo. Per quanto mi riguarda mi son sempre sentita nella posizione in cui mi sentivo inferiore, non bella, fuoriluogo. Le storie d’amore sono un microcosmo. L’amore è sempre tale anche  a 80 anni. Ma l’amore è quello che ti lacera e ti lascia ferite che è importante vengano sanate. Sono medaglie che ti ricordano l’esperienza. Ogni fallimento è qualcosa che ti nutre. Che ti fa crescere. Quando ti rialzi guardi il mondo da una prospettiva diversa da quella che avresti avuto se fossi sempre rimasto in piedi. Il dovere di noi esseri umani è quello di essere felici, ma l’amore non è mai sempre felice”.

“La parte più difficile di un romanzo sono i dialoghi. Voglio che il mio lettore senta quello che sento io. Uso aggettivi magari strani (tipo “un sorriso che aveva in bocca farfalle”) e sono convinta che il mio essere attrice, anche se può sembrare un controsenso, mi aiuti ad arrivare alla verità. Che è sempre l’approdo definitivo”.

Lasciata la scuola si gira un po’ in città anche se Chiara deve lavorare (tra le altre cose ha una rubrica su La Stampa) e dopo pranzo si ritira in hotel per scrivere. Prima però si mangia. “Io penso che il cibo sia vita – dice.  Il momento della tavola è un momento di vita, il cibo ti nutre anche a livello umano, ti fa evolvere. In tutti i miei romanzi il cibo ha una funzione sacrale e sensuale. Amo gli affettati, la pizza, i maritozzi con la panna (che inzuppo nel cappuccino). Prima di andare in scena di solito mangio un pasticcino.” Peccato sia astemia, soprattutto in un giorno vicentino. Ma la perfezione non è di questo mondo, no?

Nel tardo pomeriggio ecco l’incontro con il pubblico, come sempre presso la galleria d’arte “And Art Gallery” di Nicola Bertoldo, altro tassello nel puzzle creato da Dal Molin. Pubblico molto numeroso e Chiara entusiasta di raccontarsi. “Mi sento esposta quando scrivo perché per me significa mettersi di fronte agli altri e dire “eccomi, sono così, amatemi”. Siamo tutti molto eccentrici. Per tutta la vita cerchiamo di comporre un tema per far felici mamma e papà. Per essere amati”. Le chiedono cosa preferisce tra lo scrivere e il recitare e lei, subito: “Tutti e due… perché sono una donna!”

Chiara e Mario Sesti

Parla del suo ultimo lavoro: “Il cielo stellato fa le fusa”, una rivisitazione in chiave moderna del Decameron di Boccaccio. Racconta di come si è scoperta artista: “Le suore, quand’ero piccola, mi chiesero di cantare e recitare in una rapresentazione e mia madre, quando mi vide cadere trafitta da una spada, pensò mi fossi fatta male davvero. Allora capì che forse qualche dote ce l’avevo”

Con Chiara Francini si chiude la prima serie di incontri legati al cinema e alla letterattura. Luca Dal Molin ha in serbo altri progetti per Vicenza, a partire dal festival del documentario ad Isola Vicentina il prossimo autunno. ViCult come sempre ci sarà. Intanto queste giornate con Enrico Vanzina, Paola e Silvia Scola e Chiara Francini, sono state un successo e la prova che la città ha voglia di relazionarsi a livelli alti. Un grazie particolare a Luca Dal Molin e a Mario Sesti.

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