CENT’ANNI DI RAPSODIA IN BLU

Il Vicenza Jazz 2024 porta nel nome “Un sogno lungo 88 tasti”, l’omaggio allo strumento degli strumenti nel centenario della nascita di Bud Powell (1924 – 1966), padre del moderno piano jazz e nel cinquantesimo della morte di Duke Ellington (1899-1974). Ma il 2024 è soprattutto l’anno in cui compie un secolo la più famosa composizione classica della storia del jazz: Rhapsody In Blue. “Ho più musica nella mia testa di quanta riuscirò mai a mettere su uno spartito”, diceva George Gershwin, e la sua vita, troppo breve, fu una vertigine di idee, una stupefacente serie di melodie e canzoni che di fatto gettò le fondamenta di quello che chiamiamo “Great American Songbook” e la base di innumerevoli standard jazz. Alla musica, George, ci arrivò quasi per caso, dato che un pianoforte entrò in casa Gershwin a Brooklyn nel 1910, quand’egli aveva già dodici anni, età quasi avanzata per entrare nel mondo dei concertisti. L’influenza più grande la esercitò il fratello Ira, di due anni maggiore, che doveva essere il compositore della famiglia e che invece divenne un grandissimo paroliere. Il primo successo di rilievo di George fu Swanee (1919) che gli aprì le porte degli Scandals di George White, teatro musicale simile al varietà, pieno di lustrini e di illusioni, con file di soubrette su palcoscenici da sogno. Ma l’anno che lo avrebbe consacrato come uno dei più grandi (qualcuno dice IL più grande) compositore statunitense fu senza ombra di dubbio il 1924. In quell’anno avviene una vera e propria santificazione del compositore, che produce due opere che segneranno per sempre la sua figura e tutto il novecento musicale americano. Una è Lady Be Good, la prima vera collaborazione dei fratelli Gershwin, che fu un successo clamoroso e conteneva brani diventati poi veri monumenti come la canzone che dà il titolo all’opera, Fascinating Rythm e quel miracolo di armonia e melodia che è The Man I Love, che per assurdo fu poi escluso dal musical ma che Billie Holiday consegnò alla storia e dopo di lei mille altri artisti. Con il successo cresceva anche la polarizzazione della critica verso questo compositore classico/non classico, raffinato ma troppo popolare. Il dibattito su Gershwin compositore colto o no, è un dibattito piuttosto capzioso. Di fatto Gershwin, Copland e Ives sono i tre giganti della musica americana, i primi che abbiano saputo creare un linguaggio musicale da radici eminentemente americane. Gershwin è un compositore jazz e classico allo stesso tempo. Ha portato il jazz nella forma sinfonica creando una perfetta fusione tra le due realtà. Non è come un concerto in sol di Ravel che ha delle contaminazioni leggere: qualche frase con accenti sincopati, qualche armonia accennata. In Gershwin fanno da padrone i temi charleston, swing e blues. Quello modellato da Gershwin (almeno nei suoi lavori più conosciuti) è un “Jazz-Sinfonico”, così come lo aveva concepito Paul Whiteman. Si trattava di un genere che aveva come obiettivo quello di fondere le suggestioni del Jazz con la musica sinfonica europea. In realtà, si rivelò un ibrido che finiva col non essere propriamente jazz e nemmeno compiutamente sinfonica, e neanche totalmente afro-americana. Ciò nonostante, permise a Gershwin (oltre allo straordinario successo personale) di comporre i primi esempi di musica sinfonica realmente “americana”.

La Rhapsody rimane il suo lavoro più noto e iconico. Ma probabilmente i suoi definitivi capolavori sono altri. “An American In Paris” innanzitutto. Poema sinfonico in cui mai come prima il compositore arriva davvero a comporre una musica pienamente all’altezza dei suoi modelli colti. Tra Debussy e Ravel e Prokofiev. “Un Americano a Parigi è la musica più moderna che io abbia mai scritto. La parte iniziale si sviluppa alla maniera di Debussy, benché le melodie siano originali. Il mio assunto consiste nel riprodurre le impressioni di un viaggiatore americano che passeggia per Parigi ascoltandone i suoni e i rumori e assorbendo l’atmosfera della Francia. Ma c’è molta libertà, e chi ascolta può leggere nella musica tutte le immagini che preferisce”.
Così lo stesso Gershwin sintetizzò il contenuto di questo suo poema sinfonico nell’elaborato e dettagliato programma che egli scrisse insieme con il compositore e critico musicale Deems Taylor per la prima esecuzione avvenuta il 13 dicembre 1928 alla Carnegie Hall di New York sotto la direzione di Walter Damrosch.

“Porgy and Bess” è l’altro suo massimo capolavoro. Il primo esempio di vera e propria “Opera Americana”, che diede poi il via ad una feconda stagione di compositori americani che cercarono (in alcuni casi riuscendovi) di dare una dignità artistica duratura al teatro nazionale americano (da Bernstein a Blitzstein a Barber). Opera di grande respiro che ritrae magnificamente (con continui influssi jazz e spiritual) il mondo dei “neri”, rinchiusi nella loro città-ghetto, e delle loro vicissitudini. Memorabili le songs, divenute veri e propri classici del genere: da “Summertime” a “Bess you are my woman now” da “It ain’t necessarily so” a “There’s a boat dat’s leavin’ soon for New York” e tante altre. Anche vocalmente è difficile da cantare, con una miriade di personaggi minori, che hanno interventi non facili. Con quest’opera ci si rende conto finalmente che Gershwin era soprattutto un grandissimo compositore per il teatro e lo era sempre stato, sia per i musical che nelle sue prove sinfoniche in cui la componente teatrale ed effettistica era sempre presente in modo importante. Soleva dire che per lui la musica era la scienza delle emozioni, e nell’opera trovò tutto quello che chiedeva a questa scienza. Cento anni di Rhapsody In Blue vogliono dire cento anni da quando il jazz è diventato arte vera. Sia stato “serio” o no è stato un grandissimo compositore, vale a dire un uomo che vive dentro la musica ed esprime tutto, “serio” o meno, profondo o superficiale che sia, per mezzo di essa, perché è la sua lingua materna. Ha dato ai suoi connazionali una loro musica classica e ha interpretato il grande utopistico sogno americano.

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