Rumori di fondo, suoni disturbati e poi una fisarmonica che dialoga con un clarino. Inizia così “Samizdat” di Edoardo Maggiolo. Viene in mente il lavoro di Matt Elliott, un mix di balcani e “gipsies” che apre il disco in maniera spiazzante e al contempo accogliente. L’incipit viene poi confermato da quel che segue: piano preparato, jazz d’avanguardia, il silenzio come elemento fondamentale nella composizione. “Samizdat” in russo significa “edito in proprio” e si riferisce quindi, in generale, a tutte le produzioni artistiche o giornalistiche che debbano essere prodotte “in casa” per aggirare la censura del regime. L’ispirazione che permea il lavoro di Maggiolo, viene comunque dal capolavoro assoluto di Bulgakov “Il maestro e margherita”, a cui i titoli dei brani si rifanno, a cui si deve il concetto di “Samizdat” e verso cui anche la musica ha più di un debito. In comune con il libro di Bulgakov vi è uno spirito fortemente di anarchica spensieratezza, che se nel romanzo prende più di una volta strade intrise di ironia e sarcasmo, qui sposa il “free form” come unica via al rigido declino perenne del mondo e quindi anche della musica che (per dirla col poeta) “ci gira intorno”. In “fuori programma al varietè…” si passa da Kurt Weil a Tom Waits, ma mai con la spocchia del musicista d’avanguardia, piuttosto con un atteggiamento di cesellatore di suoni, di raccoglitore di “field recordings”. Ecco quindi un canto di uccelli, rumori di campanacci, il tutto registrato e prodotto “con voluta incertezza” come recitano le note. Il piano rimane protagonista, un piano di Cageana memoria, sepolcrale eppure lirico, come in “E’ sempre mezzanotte” che sopra un brusio industriale, dipana una parvenza di giro melodico di cupa solitudine. Vi è a volte un’impressione di malcelata insicurezza sulla direzione da prendere. Come se Maggiolo volesse una composizione più armonica ma allo stesso tempo ne tema gli sviluppi. Il senso di patchwork ogni tanto prende il sopravvento e siamo curiosi di capire dove può andare in futuro il compositore vicentino perché le stimmate del musicista colto ce le ha senza dubbio. Quando arriva una batteria ripetitiva sotto un tappeto di fisarmonica e clarino in “L’assassino la donna il buffone e il gatto” pare quasi di sentire gli ultimi Talk Talk. Ma è solo poco più di un istante, prima che Edoardo “sporchi” il brano con intrusioni rumoristiche. L’indeterminatezza pare sia la cifra dell’opera. “Torrenti lunari” chiude il lavoro lasciando una sensazione di alienante pace.
Al via il XXVII° Festival sugli organi storici del vicentino: 29 concerti dal 9 agosto al 22 dicembre
Ventinove concerti, due organi restaurati, ventisette edizioni: sono questi i numeri del Festival Concertistico Internazionale dedicato agli organi storici del