Al suo sesto album in poco più di vent’anni di carriera, il vicentino Davide Peron produce un’opera intima e personale che lui stesso definisce come una sorta di testamento per suo figlio. Una specie di messaggio, una scorciatoia morale per comunicare il mondo visto da Davide. Nei sette brani che compongono il lavoro, si percepisce un’urgenza interiore mai in ogni caso forzata o ridondante. Il rischio in operazioni a cuore aperto come questa è di scadere nel sentimentalismo o, peggio ancora, in una certa retorica condita da abbondante melassa. Parla di essere e non di dover essere, e questo diventa il filo che unisce le canzoni. Essere inteso come consapevolezza di sé e di quello che ci circonda. Come appartenenza al ciclo naturale delle cose, anche quando si guardano le stelle e ci si chiede come potrebbe essere l’esistenza raccontata da una di loro, mentre noi siamo solo un filo d’erba, una “piccola particella dell’universo”, come diceva Ungaretti. Altrove, Peron ricorda che “l’oro bon non ciapa màcia” ed è davvero notevole l’uso del dialetto in un testo. L’espressione nasce dal fatto che, una volta, si verificava l’autenticità dell’oro versandovi sopra dell’inchiostro. Se non ne rimaneva macchiato si trattava di oro puro, altrimenti si trattava di una lega composta da altri minerali. La frase si incastra perfettamente dentro alla poetica del brano e ricordo pochi esempi così pertinenti ed eleganti del dialetto veneto in un testo italiano, esperimento che tra l’altro Davide ha già provato più volte in carriera e con eccellenti risultati.
Il disco è prodotto da Claudio Corradini ed è stato registrato presso lo studio “Risonanze” di Dueville. La produzione mostra pregi e difetti delle classiche produzioni italiane. La voce è un pò troppo in primo piano, il mix a volte tende a impastare gli strumenti in un pieno orchestrale e sintetico che in momenti come “La Disobbedienza” riempie forse troppo lo spettro sonoro. Laddove l’arrangiamento rimane più sobrio esce più lineare ed elegante il lavoro cantautorale di Peron. Il riferimento più chiaro è Ivano Fossati ma si sente anche la lezione di Max Gazzè e di Nicolò Fabi in più di qualche momento. I brani migliori sono forse posti agli estremi del cd. “Senza Nulla Pensare”, chiude in modo acustico e strumentale e “All’improvviso” apre le danze invece e indica tutto il percorso e ha il gran merito di rimanere ancorata ad un suono caldo e nudo. Probabilmente un ensemble più ridotto e dei suoni meno campionati e più veri gioverebbero molto a questi acquarelli.