Giacomo Diamante e Enjoy: la vita è un punch.

Jerry Thomas, a metà ottocento, guadagnava 100 dollari a settimana, una paga superiore a quella del vice presidente degli Stati Uniti. Girava con guanti appariscenti e un orologio parigino d’oro al polso, collezionava arte ed era un grande viaggiatore. L’America intera se lo contendeva ma anche il vecchio continente ebbe la fortuna di averlo ospite in più città in cui si potè ammirare il suo talento. Jerry Thomas era un bartender. Ad essere precisi, fu “il padre dell’arte di miscelare i cocktail”. Perché di arte si tratta, o per meglio dire di un certo tipo di arte, fatta di tecnica, regola, abilità, creatività e molto talento. All’epoca vi erano moltissimi barman famosi quanto lui e importanti come, per intenderci, oggi sono gli chef stellati. A Vicenza da una decina d’anni c’è un pronipote virtuale di Jerry Thomas e tutti quei barman storici: si chiama Giacomo Diamante ed ha una storia alle spalle e un futuro davanti che valgono la pena di essere raccontati.

Siamo abituati a pensare ad un modo di bere tradizionale e culturalmente legato alle nostre radici. L’osteria, lo spritz al banco, o al massimo una grappa col caffè o un amaro. La cultura della miscelazione non è quasi mai contemplata quando il nostro immaginario deve sposare una realtà alla frase “beviamo qualcosa”. Il vino, sia chiaro, è tradizione, cultura, qualità, finanche saggezza popolare, inscindibile da qualsiasi antropologia seppur spicciola. Ma il tema di questa storia è un altro: è un altro modo di bere e quindi anche un altro modo di vivere, tutto sommato. Alla fine capiremo che il cocktail è ben altro che un calice con diversi prodotti miscelati dentro. Ha una storia, una deontologia, un’estetica e anche un’etica, e se imposti la vita sul mondo dei cocktail e poi la insegni agli altri, crei a tutti gli effetti un mondo davvero diverso da frequentare. Giacomo Diamante tra poco festeggerà 26 anni di esperienza. “Ho iniziato lavando i piatti, poi sono passato dietro ai fornelli, poi in sala in un ristorante molto conosciuto a Bologna e poi in un bar, nel periodo storico conosciuto oggi come rinascimento della miscelazione”. Mi racconta Giacomo seduto al bancone del suo locale a Vicenza. Nato e cresciuto a Bologna è ormai vicentino d’adozione, ma non sapresti dargli un carattere peculiare di un’area geografica. Giacomo pare un enigma, quando invece ha solo l’enorme pregio di prendere dannatamente sul serio quello che fa, e quel che fa lo fa bene come pochi altri. “Erano i primi anni 2000 e ho avuto la fortuna, e fors’anche la bravura, di essere al momento giusto nel posto giusto, tanto che ancora oggi vengo riconosciuto come uno dei protagonisti di quella stagione. Da lì ho fatto esperienze in Francia, Olanda e Inghilterra”.

Ora, la mia estrazione da osteria, di cui badate bene mi vanto, mi fa chiedere a Giacomo cosa significa bar manager e cosa lo distingua da un bartender. “Il bar manager è colui che a 360 gradi si occupa in prima persona dei servizi del bar ed è responsabile della buona riuscita e della qualità delle operazioni svolte dall’attività commerciale. Il bartender invece è un operatore bar che può, a seconda del luogo, essere specializzato in caffetteria o in miscelazione ed essere quindi o un barista o un barman”. Che sia un mondo a parte lo inizio a capire. Ma ora mi interessa sapere come sia andata la storia di Giacomo. “Al top della carriera, o almeno a quello che pensavo fosse, scopro che diventerò padre. La mia compagna era veneta e di conseguenza decido di lasciare la carriera per star vicino a mio figlio, spostandomi da Bologna. Poi arriva la seconda figlia e nonostante nel mentre avessi aperto locali a Bologna e gestissi scuole, sempre a Bologna, il mio legame col Veneto era chiaramente cresciuto sempre più e quindi ho iniziato a cercare opportunità qui, e alla fine mi son detto: apro una scuola! All’epoca era un business che funzionava molto. Parliamo di dieci anni fa e in Veneto c’erano bellissime realtà nel mio settore; la scuola di formazione fu da subito un successo. Ho deciso che avrei dovuto essere molto efficace nell’insegnamento e anche un po’ anarchico perché di fatto mi muovo su strade che altri ritengono troppo rischiose, e non mi curo di quello che i colleghi dicono di me”

Giacomo sa quello che vuole, sa come ottenerlo, conosce quello che gli piace e gli piace quello che conosce. Avrebbe i perfetti tratti dell’arroganza se non fosse che si tratta invece solo di attenta ed elevata professionalità. E noi veneti bevitori che pensiamo che dietro al bancone debba esserci uno che si limita a riempirci il bicchiere, il Giacomo lo vediamo quasi come un alieno. “Studio i prodotti, faccio molta ricerca e comunico quello che in una logica di mercato è più utile conoscere per avere una marcia in più, e tutto questo nella speranza di potenziare le figure che vengono a fare i corsi da me. È un lavoro umile, da vasaio, e hai sempre bisogno che qualcuno te lo compri il vaso e a me piace molto farli i vasi”. Enjoy, è innanzitutto una scuola, e il fulcro dell’attività di Diamante rimane quello della formazione. “Siamo stati in molti a collaborare nella creazione della scuola.  Dopo poco tempo i vari corsisti mi chiedevano “ma perché non apri ‘sto posto non solo come scuola ma anche come locale?” E così è successo, per la prima volta in Italia. Il core business in ogni caso resta la scuola, creare nuovi prodotti, fare consulenze, seguire clienti italiani ed esteri, organizzare eventi…” Però c’è un però e si chiama “secret club”, o almeno così lo chiamano praticamente tutti a Vicenza.

Mi ricordo pure io come ci arrivai una tarda sera, sentendomi catapultato nella Chicago del proibizionismo tra fumo denso di sigarette, jazz e ore piccolissime. La mia era la reazione emotiva di uno che ha visto troppi film o che ha spesso poca voglia di andare a casa, mentre dietro c’era molto altro. “Una sera, ad un mio collega, venne l’idea di mandare un sms a 7 persone con una parola d’ordine, per vedere se sarebbero venute e come sarebbe stato avere anche un bar oltre ad una scuola. Era un giovedì, e si presentarono tutti e sette. Fu una bella serata, tranquilla, facile, leggera. La sera dopo dico: “che facciamo, rimandiamo gli stessi 7 messaggi?” E stavolta arrivano 54 persone! Gente mai conosciuta, mai vista prima, che però diceva “mi è arrivato un messaggio”: la catena di Sant’Antonio degli inoltri era partita. A questo punto richiamo le sette persone chiedendo che non diffondano troppo il messaggio e il risultato è che la terza sera, il sabato, arrivano in 276!! Ormai la voce era irrimediabilmente girata! A fine serata, esausto, dico basta con questi sms, convinto che sia giusto tornare a fare formazione, progetti ed eventi, che già bastavano ed avanzano. Accade però che il giorno dopo, mentre pranzo in centro, sento dietro al mio tavolo due ragazze che parlano di questo posto fighissimo con un muro di bottiglie e un barista che fa cocktail da urlo. Io mi chiedo se stiano parlando di me e alla fine del pranzo mi giro e chiedo “ma dov’è questo posto che chiamate secret?” Le ragazze mi guardano ridendo e dicono “guarda che eravamo da te”. Lì capisco che forse era meglio proseguire: avevo fatto centro”. L’anno è il 2014 e all’epoca di posti così ce n’era solo uno a Roma. Al “secret club” che, ripeto, non si è mai chiamato così ma tant’è, iniziano ad arrivare colleghi barman, chef, camerieri tra i più validi, molta gente del settore, distillatori, e un sacco di avventori che amano lo stile del posto e il bere bene.

Per Giacomo ed Enjoy il bar è un fulcro che può portare network e questo network, a sua volta, porta contatti e sviluppo dell’attività giornaliera che, nel frattempo, non solo prosegue ma anzi cresce sempre più. “Molti colleghi hanno provato ad aprire dei member club ma poi hanno chiuso perché si limitavano all’attività del bar mentre noi siamo un’azienda che ha anche un bar, ed è molto diverso”. Poche regole all’interno del circolo. Mi dice Giacomo che sono essenzialmente tre: “la prima è educazione e buon senso, la seconda è educazione e buon senso (va ripetuto perché venga recepito) e la terza è nessun tipo di droga. Questo non vuol dire sia un posto da gesuiti ma ci vuole stile, e lo stile è l’informalità”.

Lavorare in un bar, in un ristorante, in un locale, significa quasi sempre dedicare moltissime ore giornaliere all’attività, rinunciare a molta vita comoda e privata, sballare con gli orari e col sonno. Giacomo pare sopportare tutto con estrema normalità, passando anche giornate da 18 ore di lavoro, se si sommano l’attività di formazione a quella imprenditoriale pura, a quella serale dietro il bancone del bar. Io, che ho la resistenza di un bradipo dopo aver preso un tavor, lo guardo ammirato. “A me piace molto questo lavoro, mi diverte, e ho deciso di chiamare l’azienda Enjoy proprio per comunicarlo. Per esteso, ad essere corretti, si chiama ‘Enjoy, artigiani del bere’. Mio nonno era un fabbro e a me piaceva molto l’approccio artigianale, in fondo non siamo artisti ma siamo artigiani che lavorano materie naturali, creando quotidianamente qualcosa che è sempre in divenire perché cambiano i prodotti, cambiano i drink, c’è studio e ricerca approfondita sulla storia, la società e la cultura. La maggior parte dei miei corsi sono basati sul concetto di consapevolezza; non è solo un discorso alcolico, ma è capire come mai quel prodotto è nato in quel periodo e in quel luogo, offrendo così anche un approccio antropologico e sociologico. I corsi sono stati un successo fin dall’inizio. Tutto col passaparola, attraverso la nomea che mi ero fatto lavorando. Enjoy ancora adesso non ha un sito internet e non è sponsorizzato da nessun brand, così sono libero di fare e proporre quello che voglio”.

Ritorno sulla cultura del cocktail, su Hemingway e James Bond, sul grande Lebowsky e l’oliva del Martini che tra le labbra di una donna diventa seduzione pura. Perché per me la parola cocktail evoca queste immagini, che sono tutte di classe, colte, di stile. Praticamente l’opposto di quel famoso proverbio russo, molto divertente, che dice che non esistono donne brutte, dipende solo da quanta vodka bevi. Giacomo interrompe il flusso dei miei pensieri: “Non parliamo di vodka! Alla fine degli anni ‘60, con la rivoluzione sessuale e politica è cambiato il modo di trovarsi nei locali. Se prima un bartender serviva dieci persone alla volta ora si trova a servirne cento, e quindi qualità del prodotto e del servizio trasformano il bar in un luogo in cui approvvigionarsi e basta. Esplode la Vodka, che prima non compariva nemmeno nei libri di ricette, ed ha un successo enorme negli Stati Uniti, così noi europei finiamo con l’importarne la moda e tra fine 70 e fine 90 viviamo il periodo buio della miscelazione. In quei tempi l’unico modo per fare qualcosa di diverso era interpretare il ruolo di barman come quello di uno showman. Nasce il flair (quelle acrobazie che fa Tom Cruise in “Cocktail” tanto per capirci) ma alla fine era spettacolo notturno e non qualità.

Di base il cocktail così come lo conosciamo oggi è nato dalla necessità di equilibrare prodotti di bassa qualità con altri ingredienti per renderli più bevibili, sulla regola del “punch”, la ricetta che ancora oggi definisce tutti i drink e che è la regola storica e ancestrale. Ingredienti del punch sono: parte alcolica, parte dolce, parte aspra, parte aromatizzante e diluizione. Tecnicamente tutti i drink sono punch. Alcuni declinati in chiave più moderna secondo gusti che cambiano col tempo, ma alla base ci sono sempre questi 5 elementi, come per tutti i grandi classici. Adesso mi pare di capire l’essenza di questo universo per me fino ad ora solo parallelo. Miscelare è unire in maniera armonica, è equilibrare i contrasti, è far star bene materie che in origine sembravano incompatibili. Miscelare, alla fine, è vivere. Siamo noi stessi, ognuno di noi, che ci portiamo dentro  diverse sfaccettature, contrasti, conflitti che volenti o nolenti dobbiamo risolvere. E così capita con gli altri, a dover mediare, comprendere, unire. Per farla breve: la vita è un punch.

Chiedo a Giacomo quanto ci abbia messo a far capire la sua idea ai vicentini. “All’inizio mi dicevano che ero caro e allora ho giocato sul mio personaggio (non sulla persona, sul personaggio) che è quello stronzo che sa tutto, mediamente cattivo, e che non vive la società del mondo bar. Era un modo per impormi. Però per me la professionalità viene prima di tutto e di conseguenza ho rapporti professionali con tantissimi locali nel Veneto, in Italia e in Europa, ma non sarò mai quello che trovi a bere un drink in un altro locale. Oggi il vicentino è molto cresciuto, ritengo che non sia solo grazie a noi ma soprattutto per merito del lavoro fatto in comunione con altre aziende e locali negli ultimi dieci anni, dove si è spinto sulla qualità della miscelazione, portando le nuove generazioni di bevitori ad una consapevolezza diversa. Il Veneto ha i più grandi capitali nel settore bar, le più grandi maestranze, abbiamo davvero tra i locali più belli che si possano trovare in Italia, con incredibili eccellenze nella produzione di prodotti alcolici. Nonostante la crisi economica poi, questa regione ha mantenuto i patrimoni con una capacità di spesa che non ha nessun’altra regione in Italia. Qui, in questo settore è diffuso l’approccio imprenditoriale. Posso proprio dire che mi son trovato nel luogo giusto e ne sono felice. Nonostante lo spritz a tre euro o il calice di vino a due euro, questa regione e questa città sono il luogo giusto dove fare il mio mestiere”.

Da Enjoy oggi si entra senza parola d’ordine. Il club è aperto ogni giorno dalle 20 fino a tardi, anche se Giacomo ci tiene a dirmi che non l’ha mai considerato solo un posto per il late night, dove venire quando gli altri hanno chiuso. A breve il club cambierà ora di apertura anticipandola alle 18 e inserendo anche il food. Alla fine ho capito che Enjoy non è un bar, è uno spazio, un luogo dove accadono cose, dove l’informalità si sposa con la grande professionalità, dove ogni genere di estrazione sociale si trova gomito contro gomito al banco e interagisce attorno alla scoperta di un modo nuovo eppure antichissimo di bere e di bere bene.

Il locale è gestito da Carlo Scalzotto, manager responsabile del club. Giacomo Diamante è il titolare dell’azienda e di tutto il mondo Enjoy; socia è anche Valentina Valle.

Piccola postilla curiosa.

L’unico brand a cui Giacomo ha voluto prestare la propria immagine è “Schweppes” che, guarda caso, non è alcolico.

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