A SCUOLA DI CUORE

Cuore è un libro orribile. Fatto di pagine e pagine di narrazione popolare che si trascina incessante sul tema della morte e sembra non incontrare mai fine, inframmezzata da lettere di genitori santi e dai racconti del maestro di scuola che mensilmente propone “un atto bello e vero, compiuto da un ragazzo”. Il piccolo patriota padovano, Valor civile, Sangue romagnolo evocano in un itinerario nazionale di piccoli martiri. Nell’orizzonte della guerra, brilla il sacrificio ossessivo per la patria e per la famiglia. I personaggi, per lo più statici e tipizzati, mancano di un’indagine psicologica, comportandosi sempre secondo l’indole assegnatagli. Nella sua fragilità bidimensionale, Cuore è un immenso successo romantico, ottocentesco e giusto un po’ fuori moda. Ma ha anche dei difetti.

L’autore, Edmondo De Amicis, scrittore, giornalista e militare (1846 – 1908) si rese ancor più degno del titolo di “pedagogo ufficiale dell’Italia umbertina” trasformando il diarietto di uno scolaro torinese in un manuale del cittadino ideale. Il compito santo e imprescindibile di formare questi bimbi è attribuito alla scuola e alla famiglia, istituzioni a fianco di uno Stato ancora troppo debole. Cuore incontrò subito il favore popolare, vendere un milione di copie nel 1886 è un successo straordinario. D’altra parte la critica accolse meno calorosamente il romanzo, che fu presto osteggiato. In Cuore si riscontrarono mille difetti, dagli eccessi di retorica all’ottimismo irreale. Di questi limiti era cosciente De Amicis stesso, il quale finì per plasmare un unicum della letteratura (per fortuna, direbbe Cattaneo).

Innanzitutto un aspetto incantevole di Cuore è la sua laicità: un accenno alla religione cristiano cattolica non si trova neanche a cercarlo col lanternino. Essa è soppiantata da un vero e proprio catechismo civile. Sotto il capitolo Dicembre il Natale è innominato. Trova invece spazio il racconto sulla prima nevicata, con a fondo pagina una delle tante lettere del padre di Enrico al figlio “Voi festeggiate l’inverno… Ma ci sono ragazzi che non hanno né panni, né scarpe, né fuoco. (…) Voi festeggiate l’inverno, ragazzi. Pensate alle migliaia di creature a cui l’inverno porta la miseria e la morte”. L’intero indice si presenta come un calendario, diviso per mesi, dove al posto delle festività tradizionali vi sono le ricorrenze della storia nazionale e ad essere ricordati non sono i santi della Chiesa ma i martiri dell’Indipendenza. La stessa idea di nazione che la letteratura risorgimentale ha esaltato al fine di plasmare una coscienza di italianità, in Cuore assurge a dogma, esplodendo in una mistica della patria. Il protagonista e tutti i caratteri che costellano la narrazione sono piccole statuine nel presepio sociale della giovanissima Italia unita. La famiglia di Enrico, benestanti torinesi dotati di grande buon senso e compassione, rappresenta l’ideale, che tuttavia è un’eccezione, infatti i compagnetti di scuola, i protagonisti del diario di Enrico e dei racconti mensili appartengono a un mondo duro, spesso spietato e privo dell’affetto familiare che ovatta la realtà del protagonista…

Così traspare quale sia il vero mondo di cui De Amicis intende scrivere: non quello della borghesia piemontese, bensì dell’Italia tutta. Abitata da gente umile e sofferente, ma animata da un cuore di coraggio, altruismo, pietà.. I piccoli eroi sono di Napoli, sardi, fiorentini, romagnoli, padovani: l’amor, soprattutto di patria, fa da collante universale. Ma questa vocazione interclassista, come ironizza Monelli, che racconta del borghese che stringe la mano all’onesto muratore, dà per saldo il presupposto che ciascuno abbia da rimanere nella propria classe sociale. I poveri ci sono e tali restano, proprio per questo non vanno emarginati ma sono anch’essi degni di rispetto, sembra essere il messaggio di fondo. Sotto la data di martedì 29 novembre è riportata una lettera firmata dalla madre di Enrico, che amabilmente lo esorta a riflettere su cosa significhi la povertà e a quanto dolore porti, allo strazio di un genitore che non può nemmeno sfamare il figlio. “Questa mattina camminando davanti a me quando tornavamo da scuola, passasti davanti a una povera, che teneva fra le ginocchia un bambino stentito e smorto, e che ti domandò l’elemosina. Tu la guardasti e non le desti nulla, eppure ci avevi dei soldi in tasca”. Quello che la mamma del protagonista gli rimprovera è l’indifferenza, il guardare dritto avanti, davanti alla miseria che tende la mano. L’immagine di una madre che chiede un soldo per il suo bambino si erge a simbolo di tutti coloro che non hanno nulla, e dunque nulla valgono, di coloro che pregano dal margine della strada o da luoghi del mondo che a noi paiono tanto remoti. La fame, la povertà dei singoli e dei popoli si possono ben ignorare, almeno finchè non ci toccano. Ma, immagina la madre di Enrico, quella madre potevo essere io e quel bimbo poteva essere mio figlio. Forse esagerata nell’emozione, la predica di questa donna di fine ‘800 asserisce due verità oggi tutt’altro che banali quando scrive sui famigerati poveri. “Pensa che a te non manca nulla, ma che a loro manca tutto: che mentre tu vuoi essere felice, a loro basta di non morire. Pensa che è un orrore che in mezzo a tanti palazzi, per le vie dove passano carrozze e bambini vestiti di velluto, ci siano delle donne, dei bimbi che non hanno da mangiare”. Certo il piccolo Enrico non doveva né poteva magicamente guarire le disuguaglianze sociali, ma il solo degnare di uno sguardo chi è nella disperazione più oscura può fare la differenza.

Questa commozione costante nei piccoli gesti, negli eventi quotidiani che traspare dai vari racconti non si limita alla sensibilità di una madre. Tutto parte dalla scuola, verso cui De Amicis volge un’attenzione ossessiva, il nucleo scolastico pervade ogni angolo della vita torinese, intrecciandosi anche con il mondo del lavoro. Non sarà opinione unanime, ma oggi il lavoro dell’uomo, su cui si fonderebbe la Repubblica, è quotidianamente umiliato e le politiche attuali non lo considerano la priorità. Vi è invece in Cuore un grande sforzo nel riconoscere il lavoro, soprattutto quello operaio onorandolo sinceramente. Un compagno di Enrico ha il padre muratore e un giorno che ne indossava i panni, tutti ingessati di calcina, macchiò di bianco il sofà del salotto di Enrico. Ma il padre non volle ripulirlo mentre il bimbo vedeva poiché sarebbe stato quasi un fargli rimprovero di averlo insudiciato. “Quello che si fa lavorando non è sudiciume: è polvere, è calce, è tutto quello che vuoi; ma non sudiciume. Il lavoro non insudicia”. Solo pochi mesi prima, una gelida mattina di febbraio, Enrico appena uscito da scuola vide in fondo alla strada una folla che avanzava preoccupata mormorando sottovoce. In centro una barella trasportava un muratore bianco come un cadavere, coi capelli arruffati e insanguinati, caduto da un quarto piano mentre lavorava. Tutti osservavano la scena sgomenti, le maestre delle elementari, qualche passante, il padre di Enrico e i compagni di scuola, anche quello figlio d’un muratore. Quando a un tratto una voce si volse a uno dei ragazzini “Tu ridi!” e un uomo gli cacciò in terra il berretto dicendo “Scopriti il capo quando passa un ferito del lavoro”. La folla era già passata tutta e si vedeva in mezzo alla strada una lunga striscia di sangue.

Edmondo De Amicis

Per cogliere qualcosa in queste storie, oltre i segni del tempo, occorre credere che i sistemi cambiano, l’ambiente pure, ma il cuore dell’uomo rimane lo stesso. Cuore vive un’Italia giovanissima ed è intriso di un’ideologia sbiadita nel tempo. Eppure davanti alle pagine più dense non ci si può non domandare se dietro a quei rigidi valori, oltre il moralismo da benpensanti borghesi e lo sfiancante sentimentalismo non sia rimasto qualcosa da cui prendere spunto. A ben guardare sotto la glassa patriottica e paternalistica, a tratti ipocrita e nauseante, è innegabile che l’umanità di questa “storia di un anno scolastico” non conservi gravi lezioni di solidarietà da ricordare sempre. Non fate leggere Cuore ai bambini, è un libro per educare adulti, facendogli venire i lucciconi.

Novembre 2024

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