Pochi romanzi riescono a farti ridere e piangere in questo modo. E mentre ridi ti commuovi e mentre piangi ti scappa una risata. In fondo, la vita, questa avventura senza senso ma piena di significati, è proprio come bere una pinta di nuvole, assetati di cielo. Dario Meneghetti è un uomo straordinario, nel senso di “non ordinario”. Tutto in lui è “oltre”: eccessivo, sbagliato, incauto, goffo, gargantuelico. Dario ha vissuto una Venezia che ora pian piano sta scomparendo, la Venezia dei veneziani, delle osterie e delle bettole in cui bere fino a smarrire il proprio nome, la Venezia goliarda dei Pitura Freska e dei barchini stracarichi di imbriaghi sul canal grande. Famiglia benestante ma squilibrata negli affetti e nelle scelte di vita, adolescenza inquieta tra la laguna e la campagna di Oderzo, un talento clamoroso per il canto e per reggere l’alcol. Questo libro è molto di più di un autobiografia. Qui si racconta la vertigine del vivere tutto come tuffandovisi dentro; è la famosa fetta d’anguria aggredita a morsi sputando beati i semi noncuranti degli altri. La scrittura di Meneghetti è talmente felice e brillante che ricorda il miglior Achille Campanile, solo traslato in quest’era post-post moderna. Gioca con le parole come con le emozioni, non usa nessuna scorciatoia per mostrarsi in tutta la sua nuda verità, non edulcora nulla e finisce col presentare al lettore un inno alla vita, all’ebrezza e alla dignità. Dario Meneghetti è malato di SLA, da dieci anni convive con questa bastardissima malattia e ha scritto le oltre 500 pagine del libro col puntatore ottico. Ma attenzione, la malattia non è argomento di pietismo o ricerca di consolazione. Il romanzo è un trionfo di umanità, e quando parla (a libro abbondantemente inoltrato) della sua condizione di infermo, lo fa con una tale dose di ironia che ti viene un groppo in gola da quanto lui, malato grave, riesce a comunicarti che vivere è una sciarada fantastica e che prendersi sul serio è da folli. Cinquecento e oltre pagine di musica, di amori massacranti, di famiglie da soap opera, di amici, tanti amici, di mille sbronze, di canne, di viaggi, di Venezia, di quel dialetto lagunare che è musica anch’esso. “Una pinta di nuvole” ti prende e ti porta via in un baleno. La lettura è avida, veloce, come la mente di Dario, e sei rapito da un libro che è un capolavoro vero. Perché scrivere 800 cartelle con il puntatore ottico è qualcosa di eroico, e scrivere in questo modo, con questo livello altissimo di scrittura, è quasi oltre il comprensibile. Leggete questo libro, vi metterà in pace con l’esistenza.

Michele Santuliana: “Come un temporale”. Quell’estate del ’38 a Recoaro in cui perdemmo l’innocenza.
C’è un momento preciso in questo bellissimo libro di Santuliana, in cui si capisce quel che il racconto stesso sta