C’è un momento preciso in questo bellissimo libro di Santuliana, in cui si capisce quel che il racconto stesso sta a significare, al di là della storia narrata. Federico (il giovane protagonista del romanzo) e Emilio (amico trovato che diventa simbolo della spontaneità del popolo) sono sul Pasubio, in mezzo ai rifugi e le trincee della grande guerra. Quel panorama, che poi è una geografia storica e significante, non sembra quello che Federico aveva compreso leggendo la sua guida della prima guerra mondiale, e quando lo dice all’amico, ecco che Emilio risponde: “I libri no’ dize tuto”. Perché se è vero che il libro, in quanto oggetto, in quanto veicolo, è forse lo strumento più rivoluzionario di tutti i tempi, è altrettanto vero che nei libri ci finiscono le parole che qualcuno decide di metterci. Eppure Federico sui libri ci passa le giornate, sono il suo rifugio, il suo universo parallelo, la sua finestra sul mondo. Non immagina, nemmeno sospetta, che possano essere veline di propaganda. Nell’estate del 1938 l’Italia viene scossa dal brutale realismo del terrore. Il regime va verso la follia e lo fa d’improvviso con un popolo che rimane come inebetito perché non si aspettava una deriva simile. Il fascismo ormai era non solo accettato ma anche digerito e metabolizzato in quanto fatto scontato, naturale, inevitabile. Ma Hitler e le leggi razziali no, non erano previste. L’italiano era quel che è anche ora: un povero Cristo che, per dirla alla Flaiano, corre in soccorso dei vincitori ma che in ogni caso alla fine muore come Sordi e Gassman nel capolavoro di Monicelli, opportunista ma mai traditore. E di italiani ce ne sono una bella sfilza in “Come un temporale”. La famiglia di Federico intanto, con la nonna a rappresentare lo status quo e gli zii, in particolare lo zio Manrico, a fare invece da educazione sentimentale e morale del ragazzo. Ma questo non è “solo” un romanzo di formazione. La bravura di Santuliana sta nell’aver fatto un gran lavoro sul linguaggio, sulla verità storica, sulla caratterizzazione dei personaggi. Il dialetto degli oggetti, diventa qui una forma di comunicazione su più livelli. C’è il dialetto di Recoaro (dove si svolge tutta la vicenda) e quello della città, c’è l’italiano che si è imparato a scuola e c’è quello dei libri, c’è la lingua retorica stentorea dei gerarchi e quella minima famigliare che si sente a tavola.
Le terme di Recoaro sono un luogo perduto ormai da tempo. Almeno quelle terme di cui si parla qui. Un posto in cui scrittori e filosofi andavano a cercare agio, una mèta di ristori per l’animo e il corpo. Ci sono tantissimi paralleli che si possono fare con questo romanzo e altre storie ben più note. C’è “Otto e mezzo” di Fellini e il tema delle cure termali come bolla in cui ci si estrae dal mondo ma allo stesso tempo in cui quel mondo trova rappresentazione. C’è il richiamo (quasi un omaggio) ai “Ragazzi della via Pal” nei giochi da grandi che Federico, Emilio e Flora compiono contro i ragazzi autoctoni. Ci sono i classici stilemi dei racconti di formazione. Ma qui a formarsi era anche una nazione, che iniziava timidamente ad interrogarsi su cosa le fosse capitato negli ultimi 16 anni e su cosa portasse in dote il futuro.
“Come un temporale” è un libro importante per noi vicentini (perché parla di noi) ma più che altro per noi tutti come comunità belante e lamentosa. Noi che guardiamo alla storia come fosse materia da biblioteche silenziose, quando invece la Storia (notare la S) ci passa sopra di continuo. Michele Santuliana ha scritto un romanzo che parla di gioventù (non diremo di giovinezza) di resistenza, di paura, di coraggio, di sgomenti e di famiglia. E di parole, che sono e rimangono fondamentali se dobbiamo e vogliamo capirci. Perché la parola, la lingua, spiega e piega, insegna e illumina.
“Come un temporale” è pubblicato da Ronzani Editore.