FEDERICO FAGGIN ALLA FONDAZIONE ZOE’: A TU PER TU CON UN GENIO VERO

Chi è il vicentino più famoso nel mondo? Forse Roberto Baggio? O invece è proprio Federico Faggin? Non l’abbiamo mai visto palleggiare, ma siamo sicuri che, se si applicasse, potrebbe anche essere un fenomeno pure in quello.

Faggin è un genio e su questo non si discute. Non capita spesso di avere a che fare con un genio, con una persona che riesce a cambiare i destini dell’umanità. Bill Gates disse che la Silicon Valley non esisteva prima di Faggin ed è ormai impossibile immaginare un mondo senza ciò che Faggin ha inventato. Parliamo dello sviluppo dei microprocessori, della tecnologia MOS, della creazione degli elementi essenziali per la digitalizzazione dell’informazione, oltre che del fondamentale lavoro fatto con Synaptics che sviluppò i primi touchpad e touchscreen. Trovarselo di fronte da concittadino, in Basilica Palladiana, nel giorno di chiusura del festival “Gli orizzonti della salute” organizzato dalla Fondazione Zoè, è stata un’emozione vera. Presentato egregiamente da Luca Romano, Faggin ha colpito soprattutto per i temi di importanza incredibile che ha trattato durante la conferenza. La sensazione di essere di fronte a un Giordano Bruno o Copernico dei nostri tempi è forte. Fortunatamente nessuna inquisizione, fino a prova contraria, si vede all’orizzonte. Ma ciò che ci ha detto il professor Faggin è di rilevanza epocale.

“Ad un certo punto della mia parabola professionale, volevo creare dei computer che potessero imparare da soli. Studiavo a fondo la neuroscienza che ci dice che il cervello funziona attraverso segnali elettrici e biochimici che ci “spiegano” quello che ci succede. Questi poi vengono trasformati in sensazioni e sentimenti ma la fisica classica non parla mai di queste sensazioni e di questi sentimenti. La fisica classica parla solo del funzionamento, non delle conseguenze, come dire, personali. Ed io volevo invece capire il fenomeno della coscienza”.

“Noi siamo un insieme di cellule, ed ogni cellula ha dentro di se il genoma dell’intero organismo. In sostanza, ogni parte contiene il tutto”. Faggin ci racconta che nel 1990 gli capitò qualcosa che gli cambiò per sempre la vita. Un’esperienza devastante e privata. Una rilevazione. Una sorta di epifania che l’ha messo a contatto col senso stesso dell’esistenza. In quel momento ha capito che “la coscienza non può essere un fenomeno normale, perché il TUTTO non può essere anche l’UNO”. Qui tornano i fondamenti di filosofia molto probabilmente dovuti a suo padre, il filosofo Giuseppe Faggin, traduttore delle “Enneadi” di Plotino. Ed è proprio il pensiero di Plotino che esce preponderante dalla lectio di Faggin. Per Plotino il concetto di “essere” deriva dagli oggetti dell’esperienza umana ed è un attributo di questi. Ma la prima realtà sussistente è l’UNO, l’unica trascendente ipostasi. “La coscienza – prosegue Faggin – non è quindi un segnale elettrico: la coscienza non deriva dalla materia!!”.

Faggin cita l’esempio delle monadi di Leibniz e dice che il “tutto” è composto da un’energia che si autoriflette. “La realtà ha due facce “irriducibili” ( da cui il titolo del suo ultimo libro): una interna che è la MIA esperienza e una esterna che è il TUTTO. L’origine è coscienza. Il determinismo ha quindi fallito perché la fisica classica non spiega i fatti”. Qui arriviamo ad uno dei concetti più complessi citati dall’illustre concittadino, ovvero quello dell’”entanglement”. Si tratta, in parole poverissime, di un fenomeno che  comporta l’impossibilità di rappresentare un sistema quantistico composto in termini di descrizioni meramente locali, una per ciascun sistema. Poiché lo stato di sovrapposizione quantistica è indipendente da una separazione spaziale di tali sistemi (sottosistemi), l’entanglement implica in modo controintuitivo la presenza tra essi di correlazioni a distanza e, di conseguenza, il carattere non locale della realtà fisica. L’entanglement quantistico costituisce una difficoltà per la interpretazione della teoria quantistica dal punto di vista epistemologico, in quanto è incompatibile con il principio apparentemente ovvio e realistico della località, per il quale il passaggio di informazione tra diversi elementi di un sistema può avvenire soltanto tramite interazioni causali successive, che agiscano spazialmente dall’inizio alla fine. 

“La vita è un fenomeno sia quantistico che classico: ci sono atomi e molecole che interagiscono indipendentemente. I fisici asseriscono che l’universo non ha significato ma in realtà il significato glielo hanno tolto loro. L’universo, di fatto, è composto da una realtà cosciente”. Il finale è quasi commovente, perché parole del genere dette da un fisico che ora è più filosofo ma che arriva a conclusioni così universali partendo dalla scienza, lasciano davvero senza fiato. “La realtà è collaborativa, non competitiva. La coscienza è privata. Fare del male a qualcuno significa farlo a se stessi”.

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