“La Voce del Padrone” di Franco Battiato raccontato da Massimiano Bucchi e Arturo Stalteri a Palazzo Cordellina.

Raccontare un capolavoro è spesso più necessario di quanto si pensi. Perché se da una parte c’è la conoscenza collettiva di un’opera fondamentale e di enorme successo, dall’altra vi è la riduzione a dato acquisito dell’importanza dell’opera stessa, come se la sovraesposizione, per assurdo, ne limitasse l’approfondimento. Nel caso di Battiato e de “La Voce del Padrone” poi, il tutto si fa seriamente più complesso. Non fu un semplice disco ma qualcosa di ben più vasto. E per i 40 anni era doveroso parlarne. L’hanno fatto benissimo Massimiano Bucchi e Arturo Stalteri a Palazzo Cordellina nel pomeriggio di sabato 4 Dicembre. Cornice delle grandi occasioni per un quadro di inestimabile bellezza. Stalteri ha collaborato molto col maestro siciliano, sia per un progetto per Rai Doc che per il film “Musikanten” realizzato da Battiato e Sgalambro. Inoltre ha pubblicato un album dal titolo “In sete altere: Stalteri suona Battiato” e, aspetto forse più determinante, ha un gusto completamente trasversale, passando da Bach a Glass e conservando l’amore più grande per i Rolling Stones. E queste caratteristiche si sentono nel suo pianismo. Le interpretazioni dei brani de “La Voce del Padrone” riescono ad esaltare le composizioni e la loro struttura, senza stravolgerle ed evidenziando piuttosto quella magica complessità accessibile.

Arturo Stalteri e Massimiano Bucchi. Foto di Lucia Camposilvan

Eh già perché quel disco fu miracolosamente un disco semplice. E riuscire a rendere in maniera diretta un insieme di concetti e strati sovrapposti di significati, fu impresa clamorosa. Si inizia con le onde del mare e poi la musica spazia tra incedere elettronico e pulsazioni dance e i soliti sublimi arrangiamenti pseudo orchestrali di Giusto Pio, il violinista di Castelfranco Veneto che fu decisivo per la svolta pop colta di Battiato. Franco veniva da lavori d’avanguardia come “Sulle Corde di Aries” o “Clic”, dove l’elettronica e la lezione di Stockausen la facevano da padroni. Ma già con “L’era del Cinghiale Bianco” e “Patriots” la direzione cambiò e si spostò verso una singolarissima forma canzone con dei testi che in Italia nessuno aveva mai scritto prima in quel modo. Di cosa parlano i testi di Battiato? E di cosa parla quindi “La Voce del Padrone”? Vi è un’immensa cultura in ogni singola riga delle liriche di quel disco. Ma è sciorinata senza la minima presunzione o posa, anzi è ridotta a dimensione prettamente “pop” nel senso artistico del termine, finendo col diventare un ”cut-up” burroghsiano che attraverso rimandi e analogie cerca di delineare il “centro di gravità permanente”. Che il tema del disco sia la ricerca di un centro emerge dal percorso che i solchi delineano. Un ciclo emotivo dell’anima umana: dall’idillio sulla spiaggia alla disillusione sociale (Quante squallide figure che attraversano il paese) e amorosa (Da quando sei andata via / non esisto più) passando per la ricerca del centro di gravità permanente e da capo (Es un sentimiento nuevo / che mi tiene alta la vita).

Massimiano Bucchi ha già lavorato molte volte in passato su stoytelling di “casi” musicali che hanno poi segnato la cultura tutta. Bucchi sa narrare l’alto e il basso, sa lavorare come divulgatore arrivando al punto in maniera chiara e non è cosa da poco. Vanta un approccio sociologico applicato alla realtà e svincolato dalla fumosa accademia. Ed in questo ha più di un punto in comune con Battiato.

Foto di Giovanni Rossi

Grande merito per il fortunatissimo evento va dato alla Biblioteca Bertoliana e a Chiara Visentin che sta facendo un lavoro encomiabile. Fare cultura è divulgare, è sposare le arti nel loro complesso, è non avere steccati settoriali. Parlare di un capolavoro come “La Voce del Padrone” in un ambiente solitamente atto ad ospitare occasioni sulla carta più “serie”, restituisce all’opera ‘d’arte di Battiato il posto che merita.

Non ci resta che riascoltare il disco, over and over again.

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