Paul Crespel: mostrare la verità.

Esiste anche ciò che non vediamo. Ed esiste perché accade, e comporta una reazione a catena che poi si insinua nella nostra quotidiana liturgia sociale. La cultura della rimozione e della colpevolizzazione, vorrebbe eliminare i fastidi semplicemente non mostrandoli. Le storture del mondo, il peccato, le debolezze e le derive. Serve sul serio edulcorare tutto al punto di nascondere la realtà? O è meglio mostrare invece ogni cosa in un’operazione di sensibilizzazione che porti a comprendere ogni atto come parte del contesto umano? C’è la possibilità di creare comunità e rispetto palesando ancor di più pericoli e sofferenze? A volte si ha l’impressione di vivere come il principe Siddharta, il cui padre gli nascondeva le verità della vita, come la morte e la vecchiaia, per fargli credere che tutto fosse sempre gioioso e sano. Il politicamente corretto e il perbenismo, due disvalori bipartisan, cavalcati da politica e opinione pubblica trasversalmente, stanno corrompendo l’idea critica libera e la forza della consapevolezza. Dietro l’angolo, gente affamata, malata, questuante, che viene rimossa come fosse un errore del sistema, un virus (già che ci siamo) da estirpare negandolo. Significa sicurezza tutto questo? O è la più controproducente ipocrisia?

L’opera di Paul Crespel è disvelante e iperrealista. Egli non giudica, ma mostra. Non è didascalico ma lascia l’interpretazione a chi guarda. Crespel è una finestra sempre spalancata sul mondo ed il mondo non è sempre bello. Fotoreporter da oltre 50 anni, si è fatto un nome nel lontano 1975 con un servizio fotografico sulla “Point Law”, una petroliera costiera che era finita in secca a piena velocità nel sud ovest dell’isola di Alderney, nella Manica. Da lì sono seguiti molti lavori su salvataggi in mare, corrispondenze da territori di guerra, servizi spesso in situazioni estreme. Quel che Paul ha maturato è un senso di grande empatia per gli ultimi, i soccombenti, i dimenticati. Oggi si gode la fotografia giusto per passione, e documenta il mondo accanto a se, quello che si vorrebbe nascondere. La macchina fotografica ferma il tempo, lo chiude in una posa che è documento di realtà fattuale, di vita vera vissuta nell’istante esatto. Lui cattura immagini a volte senza che il soggetto se ne accorga, fa un lavoro simile a chi registra suoni, descrivendo così il contesto attraverso quel che lo abita.

Le foto che ritraggono queste figure vicentine, alcune delle quali notissime in centro città, sono parte di un lavoro più ampio che Paul Crespel sta portando avanti come “street photographer”. Lavorare sulla strada ti porta a contatto con chi la strada la vive e con rituali da bassifondi che ormai sono sempre più alla luce del sole e nei centri storici. Alcuni voltano lo sguardo, altri provano compassione, qualcuno è schifato. Poi ci sono quelli che temono la cattiva pubblicità. Come se pubblicare il degrado di un parco o l’agonia di un malato (perché un tossico è un malato, sia chiaro) sia un’offesa al decoro salottiero cittadino. Ci si dovrebbe invece impietosire ed essere spinti a compassione di fronte a queste immagini. Una compassione che possa magari portare a fare qualcosa di concreto.

Paul li chiama “i miei dipendenti” e l’appellativo è splendido quanto toccante. Sono i tossici di Vicenza, che stazionano quasi sempre in Campo Marzio. Non è un segreto che ci sia la mano dell’andrangheta dietro allo spaccio di eroina. Paul ne sa qualcosa personalmente. Fare le foto che fa lui non è propriamente una cosa semplice. Non tanto per la foto in sé, visto che con i suoi “dipendenti” ha instaurato un rapporto di fiducia totale, ma per chi quelle foto non le vuole. Non sono i neri del parco. Sono italiani, vestiti bene, armati meglio. Ma che male fanno due foto? Forse invece possono servire per riflettere di più.

A Vicenza non si applica lo scambio di siringhe. Viene portato avanti solo dai volontari. Anche il concetto di legalizzazione e cura dei malati è ancora duro da far comprendere. Troppi pregiudizi e troppa paura di perdere consenso politico. Eppure pare l’unica via. Senza dubbio è fondamentale una rivoluzione culturale su come ci si approccia a certa gente. La droga è un demone che entra in corpi già predisposti psicologicamente al male. Evidente che si debba avere una forma non solo di cura per questo ma anche di prevenzione. E la prevenzione passa anche attraverso l’esposizione delle realtà così com’è, affinché si crei empatia e riconoscibilità. E tutto questo in un paese, l’Italia, dove non c’è un vero sistema psichiatrico che funzioni.

Paul Crespel gira la città con una macchina fotografica digitale a telemetria, completamente manuale con lenti fisse standard, in modo che le sue gambe siano il suo unico zoom. Dice che la fotografia per lui è un furto, che il fotografo ruba l’immagine che sta davanti a lui come fa una macchina fotocopiatrice. Odia photoshop, che non usa mai, perché per lui è uno strumento di falsità. Non crede si possa imparare ad essere fotografi e pensa che ognuno nasca con un talento. È un irlandese ormai mezzo veneto. Ama Vicenza e i vicentini. Alza una birra e brinda alla libertà.

https://www.paulcrespel.com/

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