VICENZA IN GUERRA. TUTTI I CADUTI VICENTINI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE IN UN LIBRO.

Morire in guerra è un’eventualità purtroppo da mettere nel conto. La guerra è detestata dalle madri, diceva Orazio, perché i figli muoiono a grappoli, figli di famiglie, di nazioni, che abbandonano una vita troppo giovani e per motivi quasi sempre troppo assurdi per essere validi. Ma la morte, qualsiasi morte, deve essere rispettata, e quella di un soldato o di un civile durante un conflitto è una morte che assume in sé anche un valore storico. Le due devastanti guerre mondiali del secolo scorso hanno fatto più di un milione e centomila morti in Italia, ma di molti caduti non si sa che fine abbiano fatto. A questo tema, almeno per i caduti vicentini, ha posto rimedio il professor Fabrizio Scabio che si è concentrato sulla seconda guerra mondiale e ha prodotto un libro, “Vicenza in guerra”, che è il frutto di un lavoro lunghissimo e meticoloso. Uscito a fine dicembre, il volume raccoglie le storie di oltre 11.000 vicentini che dal 1935 al 1945 non hanno fatto ritorno a casa. Dove sono morti, quando, che grado avevano. Un’operazione di dignità, di rispetto, e che sta trovando un grande successo ristoratore verso quei parenti che per anni si erano sempre chiesti quale fosse stato il destino del loro padre, zio, nonno o fratello scomparso in quegli anni. Ed è proprio dalla medesima domanda che lo stesso Scabio si era posto, che il lavoro ha avuto inizio. “Il tutto è iniziato cercando due zii morti in guerra di cui mio papà non ha mai saputo dirmi dove, se non che uno era morto in acqua e uno in Russia – racconta Scabio. Dapprima ho cercato i caduti in Russia ma non era che il primo minimo passo. Mi son trovato nel giro di poco a studiarmi 516mila fogli matricolari e diciamo che mi son lasciato prendere la mano e alla fine ho guardato 1 milione e mezzo di dati tra cui l’archivio segreto vaticano e altri 63 database internazionali. Tutti i dati che ci sono nel libro sono corretti tranne qualche piccolo refuso nei nomi ma il luogo in cui sono morti e quando è comprovato. Qualcuno mi dice che il suo parente è poi morto all’ospedale e non sul posto indicato da me ma sono minoranze, mi fido delle anagrafi su cui si basa la mia ricerca”.

Il lavoro di Scabio è durato quasi 10 anni. Nasce anche da una generale passione per storie di guerra visto che il suo libro precedente raccontava i caduti della RSI a Vicenza (1.900 anime). Libro che gli procurò immaginabili critiche sebbene l’intento dell’autore non fosse affatto politico ma concentrato nel dare onorabilità a delle morti. Il tema del rispetto è senza dubbio quello moralmente più presente. “Nel cimitero di Vicenza – dice – nell’area sacra, ci sono 166 caduti di cui un 60% fascisti e nessuno riportava un’anagrafe. Si trovava scritto “soldato”, oppure “marinaio” e niente di più. Di questi io ne ho trovati e svelati 100 e quasi tutti sono da fuori Vicenza. Poi ho scrupolosamente girato tutto il cimitero e tra i caduti nei bombardamenti più grossi in città mancano 300 nominativi più o meno.”. I morti son morti, sembra voler dire Scabio; viene in mente l’Ungaretti de “Il Dolore” che pregava di cessare di uccidere i morti e di smetterla con gli assurdi rancori e a lasciare riposare in pace le vittime innocenti di una guerra folle.

Scabio, in rapporto alle altre provincie venete sappiamo quanti vicentini sono caduti in guerra?

Vicenza è la seconda provincia come numero di caduti. Verona ci supera perché ha dato tanto sul fronte russo. La divisione Vicenza è stata praticamente annientata in Russia ma Verona ha più caduti in numero. Siamo la seconda provincia sicuramente perché le altre sono lontanissime. Venezia ad esempio arriva “appena” a 6 mila morti.

Com’era invece la guerra in città?

C’era il marasma. Un fatto straziante rende l’idea. Dal ’44 in poi vi era una grande difficoltà per fare i funerali. Perché il commissario prefettizio desse disponibilità di seppellire i cadaveri si doveva prima capire chi erano, soldati o civili, maschi o femmine erano a brandelli, le casse dei morti erano messe in giro per la città per essere riconosciuti. Il 18 novembre 1944 molta gente era in città senza motivo perché quel giorno c’era mercato e quindi hanno fatto una carneficina … neanche lo sapessero. I più grandi bombardamenti su Vicenza sono stati il il 25 dicembre, il 2 aprile che era pasqua e il 18 che era mercato.

Quali sono le prime reazioni dei lettori?

Mi stanno arrivando molte mail e molti messaggi ed è esattamente quello che in cuor mio speravo. Il mio lavoro era appunto quello di cercare di dare pace a ricerche e domande durate decenni da parte delle famiglie. Mi ha scritto uno che per 60 anni era convinto che suo zio fosse stato alpino e invece era un fante della ravenna mortaista in Russia, e mi ha ringraziato. Ma soprattutto quando si parla di Albania, o Grecia, mi sono accorto che la maggior parte delle persone non sapessero se i loro parenti erano morti o là o in altre parti. Ma pure moltissimi di quelli morti nei campi di concentramento non erano morti chiare. Molti erano convinti che il loro parente fosse stato ucciso ad Auschwitz o Mauthausen mentre in moltissimi sono morti nei bombardamenti nelle fabbriche o nei campi di lavoro o nelle città.

Ci sono aneddoti e scoperte che non pensava di trovare?

Ci sono ben quattro famiglie che hanno perso tre figli ad esempio e son cose che mi inquietavano mentre le scrivevo. Poi la storia dell’ammiraglio degli Uberti, ucciso a un posto di blocco mentre stava scappando con un altro ufficiale della marina del rsi. Ho scoperto che è sepolto a Vicenza in una cripta nascostissima ma soprattutto ho scoperto che è parente di quel Ubaldo degli Uberti di cui parla Dante.

Per quanto riguarda la sua famiglia invece?

Tra i miei zii, uno è morto nella ritirata in Russia e un altro fu tra gli ultimi ad abbandonare l’incrociatore pesante Trento. Erano fratelli, uno del ’19 e uno del ’21 e poi mia zia, la loro mamma, ha pure perso un terzo figlio tornato dalla guerra che si era ammalato.

Cosa ti ha lasciato dentro questo lavoro?

Sono rimasto sconvolto nel constatare il numero così alto di persone rimaste nell’oblio, di quanti non si sapeva niente e di come nessuno si fosse mai posto il problema di dire “chi sono questi qua?” o del fatto che in molte lapidi i nomi erano sbagliati e che molti monumenti mancano di nomi, anche quelli “a onor caduti”, nessuno si era preso la briga di fare le ricerche. Morti in Africa, Croazia, non sono mai pervenuti, non li trovi, oppure quelli morti negli ospedali militari di riserva come in quello che era in Corso San Felice. Nella seconda guerra mondiale sono morti più di otto milioni e mezzo di italiani. Io ho lavorato sol sui morti vicentini. Non oso immaginare.

Il libro “Vicenza in guerra” è in vendita nelle migliori librerie di Vicenza, Schio, Thiene, Valdagno, Arzignano, Asiago, Lonigo, Noventa Vicentina e Bassano del Grappa.

Febbraio 2025

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