Oggi, primo agosto, compie 90 anni Sergio Campana. Per celebrarlo pubblichiamo un’intervista che gli fece Gianni Poggi nel 2019 per i suoi 85 anni. La redazione tutta di ViCult vuole augurare buon compleanno a quest’uomo che è un pezzo di storia vicentina.

«C’erano cinquemila tifosi che ci aspettavano sul piazzale della stazione». È successo 65 anni fa, il 1° marzo del 1954, e Sergio Campana si emoziona ancora ricordando l’accoglienza che i vicentini riservarono alla squadra del Lanerossi Vicenza che aveva vinto il Torneo di Viareggio. «Più di metà di noi erano del ’34, Vicini aveva un anno in più, Burelli e Guerra erano del ’36 e Cappellaro del ’37. Ed eravamo in maggioranza vicentini: oltre ai tre che ho ricordato, anche Zoppelletto, Pavinato, Carretta, Suppi, Gigi Menti e io. Luison era come se lo fosse, visto che veniva da Piazzola sul Brenta, e pure Prior, di Castelfranco. Azeglio era l’unico esterno, essendo di Cesena».
E vicentino era pure il vostro allenatore, Berto Menti.
«Un grande tecnico, è stato alla base della mia formazione a Vicenza. Mi faceva palleggiare contro il muro per migliorare la tecnica, dava grande importanza alla cura individuale nella preparazione. Ha assemblato in pochi mesi la squadra che ha vinto il primo Viareggio, siamo arrivati lì e nessuno ci conosceva. Al primo turno abbiamo eliminato il Real Madrid (io ho segnato due gol), poi la Fiorentina, il Milan e, in finale, la Juventus. Giocavamo con il WM, che in Italia si chiamava Sistema, in pratica un 3-2-2-3. Io ero l’attaccante centrale, Guerra e Cappellaro (che è tuttora il miglior marcatore del Viareggio) gli esterni».
I primi calci di Sergio Campana?
«Per strada, con gli amici. Poi sono entrato nel settore giovanile del Bassano, ma a 16 anni ho smesso perché dovevo studiare. Ho fatto altri sport, con buoni risultati, sono stato campione bassanese in atletica, ho giocato a pallavolo e pallacanestro. Alcuni amici giocavano nel Cartigliano e mi hanno convinto a riprendere con il calcio. Ho messo come condizione che non avrei fatto allenamenti, solo la partita alla domenica. Ho vinto la classifica marcatori e siamo arrivati secondi in campionato».
Dal Cartigliano direttamente al Lanerossi…
«Mi avevano visionato sia l’Inter che il Milan ma mio padre aveva posto una condizione: “Puoi giocare a calcio ma alla sera devi dormire a casa”. Contemporaneamente Dino Dal Pos, un mio amico che giocava nel Lanerossi, mi ha proposto di fare un provino a Vicenza. È andato bene e mi hanno preso. Sono entrato nella squadra Riserve, giocavamo a metà settimana una partitella contro la prima squadra e, la domenica, la partita del nostro campionato in anteprima a quella di Serie B».
Però bisognava conciliare studio e calcio.
«Non ho mai abitato a Vicenza, ho sempre fatto il pendolare. Frequentavo Giurisprudenza a Padova, riuscivo a fare un esame o al massimo due a sessione e andavo in trasferta con manuali e codici. Un allenatore, Piero Andreoli [al Vicenza nelle stagioni 55-56 e 56-57, ndr], mi diceva sempre “stai troppo seduto a studiare”. Io ribattevo che i miei compagni facevano lo stesso ma giocando a carte e lui chiudeva il discorso così: “ma non è la stessa cosa”. Non ho mai capito il perchè».
L’esordio in prima squadra già nel primo campionato: il 28 febbraio 1954 al Menti, in un “derby della lana” contro il Marzotto. Aveva 19 anni e 7 mesi.
«Mi hanno richiamato apposta da Viareggio, ho debuttato a Vicenza il giorno prima della finale».
Nello stesso campionato anche il primo gol da professionista.
«Ancora in casa, ospite il Como. L’allenatore Campatelli schierò sei giovani della squadra del Viareggio: Luison, Prior, David, Menti, me e Vicini. Un po’ per volta siamo entrati tutti in prima squadra, siamo stati l’ossatura per un decennio della Nobile Provinciale».
La stagione successiva, 1954-55, è quella della storica promozione in Serie A.
«Abbiamo vinto il campionato con 9 punti di vantaggio sulla seconda. Oggettivamente la nostra squadra era superiore a tutte. Io sono diventato titolare da metà campionato in poi, Campatelli mi ha preferito a Luciano Testa. 15 presenze e 6 gol».
Anche l’anno dopo per il posto da titolare ha dovuto aspettare.
«Era cambiato l’allenatore, c’era Bela Guttman e come centravanti avevano preso dalla Pro Patria un rumeno di 31 anni, Norbert Hofling. Giocò 9 partite in tutto, da dicembre la maglia n. 9 fu mia. Il primo campionato intero da titolare fu quello successivo, anche se nel corso ci fu un cambio di allenatore, da Andreoli a Nini Varglien. Al termine dell’andata arrivò un grande attaccante argentino, Francisco Ramon Lojacono, che segnò ben 11 gol in sole 18 partite. Diventammo molto amici. L’anno dopo passò alla Fiorentina».
Il campionato 1957-58 fu importante per molti motivi.
«Anche per la società, perché fu eletto presidente Pietro Maltauro, che nei sette anni della sua gestione diede al Lanerossi una struttura organizzativa ed economica all’altezza della Serie A. I risultati si videro subito, ci classificammo al 7° posto, seconda delle provinciali dopo il Padova di Nereo Rocco. Segnai 13 gol, mio record personale, e fui il miglior marcatore italiano del campionato».
Nonostante il cambio di maglia, da 9 a 10, cambio che allora contava perché ogni numero corrispondeva a un ruolo.
«Non sono mai stato un centravanti puro, da area, mi muovevo molto, un po’ come Paolo Rossi vent’anni dopo. Quindi anche da mezzala non perdevo le mie doti di realizzatore. Ero molto forte di testa, più di metà dei gol che ho segnato, li ho fatti così. Quell’anno al centro dell’attacco giocava Tony Marchi, un inglese. Fece qualche presenza anche Cappellaro, altro viareggino, allora appena ventenne».
Durante quel campionato a Varglien subentrò come allenatore Roberto Lerici.
«È stato il primo dei cinque consecutivi di Lerici a Vicenza. Un altro bel campionato, ancora un 7° posto, stavolta prima provinciale. Con lui sono stato sempre titolare, anche quando sono tornato da Bologna».
Già, perché nell’estate del 1959 c’è il trasferimento al Bologna.
«Per me è stata una sorpresa, l’ho saputo mentre ero a Jesolo in ferie. Il presidente Renato Dall’Ara mi dà appuntamento in sede, aspetto fuori del suo ufficio quasi un’ora, mi stufo me ne vado e torno a Jesolo. Il giorno stesso Dall’Ara mi telefona per scusarsi e ci vediamo il giorno dopo».
A Bologna ritrova il suo compagno del Viareggio Mirko Pavinato.
«Era il capitano dei rossoblu. Appena arrivato mi ha portato a cena fuori e poi mi ha aiutato molto a inserirmi in squadra e in città. Per me era il primo trasferimento, ero un po’ disorientato. La vita a Bologna era completamente diversa da quella di Bassano. Ma mi sono ambientato bene e Bologna mi è rimasta nel cuore».
La squadra era buona, da primi posti.
«Anche se l’allenatore Federico Allasio non era un granchè. Era il padre di una famosa attrice e parlava solo di lei. Però c’erano grandi giocatori: Bulgarelli, Pivatelli, Pascutti. Poi c’erano Fogli, Rota e Fascetti [tutti e tre saranno poi allenatori del Vicenza, ndr]. Nel secondo campionato arrivarono anche Perani e Vinicio».
A Bologna arriva anche la laurea.
«Mi ero trasferito in quella facoltà di legge per comodità. La tesi era sulla natura giuridica dell’arbitro. Per molti anni sono stato l’unico giocatore laureato».
A novembre del 1962 il ritorno a Vicenza. La maglia numero 10 però è già assegnata a un giovane promettente, Giorgio Puja.
«E quella n. 9 era di un olandese, Piet Kruiver, che però non era riuscito ad ambientarsi. Ho giocato 16 partite e segnato 5 gol. Sembra incredibile ma sono stato il capocannoniere della squadra con Giancarlo Fusato. È stato un anno difficile, ci siamo salvati ma al quart’ultimo posto. Però si è aperto un altro ciclo, quello di Manlio Scopigno».
Che le cambia completamente il ruolo in squadra.
«Scopigno è stato il miglior allenatore che ho avuto. Intelligente, colto, ironico. Ricordo che, prima di una partita, sono stato l’ultimo a ritirare la maglia prima di entrare in campo. Non me l’aspettavo di giocare, gli ho chiesto cosa avrei dovuto fare e lui mi ha risposto: “Campana, faccia un po’ quello che si sente di fare”. Comunque è stato proprio Scopigno a spostarmi all’ala sinistra, dove facevo il tornante davanti a Savoini che, l’anno prima, Lerici aveva avuto l’intuizione di impostare da fluidificante. Con Giulio abbiamo avuto un grande affiatamento, lo lanciavo io nelle sue proiezioni offensive».
Nel 1962 ritrova nel Lanerossi Luis Vinicio, già compagno di squadra nel Bologna.
«Sono stato io a convincerlo ad accettare il trasferimento. Lo ho invitato a cena a casa mia e Luis ha rinunciato a tornare in Brasile».
Quello di tornante non è stato il suo ultimo ruolo in squadra.
«Nel 1965-66, tre campionati dopo, avevo più di trent’anni e allora a quell’età un calciatore era ritenuto già vecchio, ho cominciato a giocare da libero. È stato Campatelli, che aveva sostituito Scopigno, a utilizzarmi per la prima volta in difesa. Mi trovavo molto bene, da ex-attaccante sapevo già quali movimenti avrebbero fatto le punte avversarie e quindi ero in grado di anticiparle. A dire il vero neanche in questo caso mi aspettavo il cambio di ruolo. Quando Campatelli me l’ha detto, non ci credevo. E lui mi detto: “be’ che c’è?”. Ho giocato da libero nel finale di campionato e anche nel successivo».
Quello 1966-1967 è stato l’ultimo campionato. L’ultima partita in biancorosso, il 28 maggio 1967 al Menti proprio contro il Bologna.
«È stata proprio una coincidenza incredibile: le due squadre per cui avevo giocato. Era l’ultima di campionato, al Bologna serviva un punto per qualificarsi in Coppa, a noi invece per la salvezza. Per tutta la partita ho insistito con Pascutti per trovare un accordo. Ma nel finale lui tira da fuori area e sfiora il palo. Gli sono andato vicino e gli ho detto: “Ezio, sei uno s…o!”. Lui si è giustificato dicendo che aveva tirato a caso».
Com’è finito il rapporto con il Lanerossi?
«Non bene. Vero che avevo cominciato a fare l’avvocato e avevo 33 anni, ma ci sono rimasto male quando Farina [presidente da gennaio del 1967, ndr] mi ha comunicato con una lettera che il rapporto era concluso. Lo ho chiamato e gli ho detto: “sarai anche nuovo, ma devi imparare come si fa”. Due settimane dopo mi ha proposto di diventare DS del Vicenza ma non ho accettato».
Un anno dopo, il 3 settembre 1968, è fra i fondatori della Associazione Italiana Calciatori.
«Una grande esperienza. Abbiamo davvero cambiato il mondo del calcio in Italia».
È rimasto molto legato al Vicenza.
«Mi è rimasto nel cuore. Vado sempre al Menti quando gioca in casa e, se perde, soffro».

Sergio Campana
È nato il 1° agosto 1934 a Bassano del Grappa. Ha giocato 14 campionati da professionista, 2 in Serie B e poi 12 consecutivi in A. Le presenze complessive sono 290 (269 in A) e i gol fatti 63 (55). Ha vinto con il Lanerossi il Campionato di Serie B 1954-1955. Nel 1957-58 è stato il miglior italiano nella classifica marcatori con 13 gol. È stato convocato nella Nazionale Under 21 per la partita Italia-Francia (1-3) giocata a Vicenza l’11 novembre 1954. Ha giocato a Vicenza per 12 campionati, assommando 240 presenze e segnando 45 gol. È acquistato dal Vicenza nella stagione 1953-1954, a 19 anni. Esordisce in prima squadra e in Serie B il 28 febbraio 1954 (Lanerossi Vicenza-Marzotto Valdagno 0-0). Segna il primo gol in biancorosso il 9 maggio 1954 (Lanerossi Vicenza-Como 1-1). Nella stessa stagione vince il Torneo di Viareggio con la squadra giovanile biancorossa allenata da Berto Menti, successo rinnovato l’anno dopo. Il debutto in Serie A è in occasione della partita Roma-Lanerossi Vicenza (4-1) del 4 settembre 1955. Gioca da titolare a cominciare dal campionato 1955-1956 e complessivamente in sei delle 12 stagioni in biancorosso.Inizialmente è impiegato come centravanti, poi da mezzala e, dal campionato 1962-1963, come tornante sinistro. Conclude la carriera giocando da libero. Nel 1959 è ceduto al Bologna, dove gioca per due stagioni con 50 presenze e 18 gol. Rientra a Vicenza in novembre del 1962. Chiude la carriera il 28 maggio 1967 nella partita Lanerossi Vicenza-Bologna (0-0). Laureato in Giurisprudenza, è avvocato del Foro di Vicenza. Nel 1968 è stato fra i fondatori della Associazione Italiana Calciatori, di cui è stato presidente per 43 anni e di cui ora è Presidente Onorario.