“LA BAMBINA CON LA VALIGIA”. COME SPIEGARE BENE LA STORIA DEGLI ESULI ISTRIANI

La foto la conoscete tutti. C’è una bambina, bellissima ma triste, ha i boccoli, un abitino elegante, tra le mani tiene un ombrello e una valigia grande metà di lei su cui campeggia la scritta: “Esule Giuliana”. L’immagine è divenuta il simbolo dell’esodo. La bambina si chiama Egea e aveva 5 anni e nel luglio del 1946 si stava preparando con la mamma a lasciare Pola assieme ad altri 30mila italiani. Il papà, prelevato dai partigiani di Tito, era sparito nel nulla. Lo zio Alfonso, pochi giorni prima della forzata partenza dall’Istria aveva chiesto ad un fotografo di scattare l’immagine simbolo per non dimenticare mai il dramma dell’esodo. Un dramma su cui per molto si è detto troppo poco, e poi si è detto pure troppo. La politica, quella ideologica, se ne è impossessata e la verità, come spesso accade, è stata messa da parte per lasciar spazio esclusivamente alle rivendicazioni di parte o ad un certo modo revisionista di affrontare la storia. Egea queste cose le sa bene, ha taciuto pure lei per decenni. Poi, recentemente, con suo marito aveva deciso di raccogliere tutti i ricordi per un libro autoprodotto che servisse come testimonianza. Ed è stato durante quel periodo che le è arrivata la telefonata della vicentina Gigliola Alvisi.

Gigliola Alvisi

“Il libro nasce da una richiesta di Piemme (la casa editrice, n.d.r.), che si accorge che un libro sull’argomento in realtà manca. Io ho alle spalle diverse biografie romanzate ma, di fatto, sulle foibe sapevo quello che più o meno sanno tutti – ci dice Gigliola Alvisi – e sostanzialmente pensavo fossero dei crimini di guerra, punto. Così, prima di accettare, sono andata a studiarmi bene la vicenda e ho scoperto un pezzo di storia italiana che non conoscevo e mi sono chiesta perché me l’avessero nascosto… perché non ne sapevo niente?? Credo che pochi italiani conoscano questa storia davvero, perché è stata strumentalizzata e tirata a destra e a sinistra. Ci siamo fatti un’idea in base alla nostra posizione politica e invece è tutto molto più complesso. Una volta che ho studiato e capito, ho accettato, e da quel momento abbiamo iniziato a cercare il testimone giusto. Siamo partiti dalla foto che è diventata il simbolo dell’esodo e delle foibe e dopo aver scoperto l’identità di quella bambina, l’abbiamo contattata…”

Egea Haffner

“Eravamo in piena pandemia, quindi all’inizio il rapporto è stato per forza tutto online. Quando poi ci si è potuti muovere sono andata a Rovereto a casa di lei”. Fatto abbastanza strano, Egea non aveva mai ricevuto richieste simili, soprattutto non per un libro per ragazzi. Si, perché Alvisi è scrittrice per ragazzi ed ha affrontato temi già molto delicati come il caso di Ilaria Alpi, il delitto Matteotti, o la situazione in Afghanistan, oltre a molti altri volumi sempre equilibratissimi tra forza narrativa e attenzione all’età di chi legge. “Scrivere libri per ragazzi è un impegno civile!” L’esodo istriano, in ogni caso, si presentava come uno scoglio arduo. In suo aiuto venne da subito Egea che aveva giusto da poco messo mano al suo archivio di foto, facendole così trovare una grossa parte di lavoro già fatto. Inoltre, fu da subito ferrea su un punto: non voleva assolutamente la storia fosse strumentalizzata. E questo aiutò moltissimo l’autrice.

L’esodo giuliano dalmata

“Raccontare questa storia ai ragazzi ti permette di essere neutrale mentre se il libro fosse stato per adulti non avrei accettato. Volevo fosse un lavoro trasversale, volevo fosse un libro ponte. Parlare ai ragazzi mi permette di parlare a lettori che non hanno occhiali con lenti ideologiche. Imparano che Istria era Italia e non perché era occupata dai fascisti ma perché era stata precedentemente assegnata all’Italia e ci abitavano italiani da tempo. Era terra di confine, dove veniva esercitato un esperimento di convivenza e vigeva un forte equilibrio. L’italianizzazione forzata arrivò solo col fascismo e produsse conseguenze tutt’altro che positive. Di certo tutti i crimini delle foibe sono stati attuati dopo la fine della guerra, non si può quindi tecnicamente parlare di crimini di guerra, se si escludono quelli appena dopo l’otto settembre. In totale abbiamo avuto 109 campi profughi italiani e per italiani, rimasti aperti fino ai primi anni ’60. Per me è stata una scoperta incredibile”.

I ragazzi, che leggono tutto questo come una storia che gli viene semplicemente offerta, hanno la possibilità di vedere con occhi più empatici il caso dei profughi, il loro affrontare l’ignoto con pochissimi bagagli e nessuna certezza. Una storia vecchia, volutamente dimenticata che ci serve per leggere la realtà di oggi. Ed Egea Haffner come giudica la nostra misera posizione ideologica? “Lei parte dal fatto di essere stata una bambina fortunata – racconta Gigliola Alvisi – in parte perché è partita da piccola e quindi non si è accorta di quello che le capitava realmente, omicidio del padre inculso. La sua è stata una partenza verso la zia che era a Cagliari e non visse mai il campo profughi perché trovò dei cugini ed amici nuovi e per lei si trattava di una sorta di vacanza. Nel frattempo gli Haffner lasciarono Pola per Bolzano ed il Trentino-Aldo Adige divenne poi casa definitiva di Egea, a Rovereto. La sua quindi è stata un’infanzia felice da bambina amata. Non ha sentimenti di rabbia o di rivendicazione perché non ha la consapevolezza precisa di quello che ha perso. Lo ha capito solo dai racconti dei famigliari ma aveva già delle basi solide. Quello che lei sente è la necessità forte di essere testimone. Nei profughi si percepisce in tutti questa esigenza e anche la similitudine di non comunicare l’esodo in maniera politica. Quasi nessuno parla di politica ma tutti trasmettono grande malinconia per la loro terra natia. Il sentimento comune è proprio la malinconia. Amano ritrovarsi e poter parlare la loro lingua visto che ora sono dispersi in tutta Italia. La lingua polesana rimane la lingua madre. Così come la cucina”.

Vista aerea di Pola durante l’epoca fascista

Da una ventina d’anni, il 10 di febbraio ricorre il giorno del ricordo, dedicato ai massacri delle foibe e all’esodo giuliano dalmata. In tale occasione vi sono numerosissime manifestazioni e una in particolare è ovviamente molto sentita: quella al Quirinale. Egea Haffner sarebbe stata presente insieme all’associazione dei profughi. Succede che il 7 febbraio, a Gigliola arriva una telefonata dalla segreteria del Quirinale e lei, lì per lì pensa ad uno scherzo. “Invece mi mandano l’invito e io, così d’impatto, dico che non potevo perché dovevo incontrare le scuole e ci tenevo troppo e poi, a dire il vero, pensavo solo fosse un invito di cortesia. Quindi sono andata nelle scuole e ho fatto i miei incontri e quando ho riacceso il cellulare ho capito che avevano letto un brano del mio libro. Era la prima volta che al Quirinale veniva letto un libro per ragazzi! Ero senza parole e commossa”. Ma non è finita. Non fosse bastato Sergio Mattarella, ecco che arriva il Festival di Sanremo. “Ero esausta quella sera e volevo solo dormire e non stavo guardando la tv, quando ad un certo punto inizia ad arrivarmi una raffica di messaggi che mi dicevano che stavano leggendo il libro anche a Sanremo. Io non ho dormito quella notte!!”

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