Quando la censura all’arte diventa violenza: il caso Evyrein e lo spettro dello stato di polizia

Uno dei primi e ancestrali casi di censura lo registra la Bibbia (Geremia, 36, 1-26): il re Joachim stralciò alcune parti del libro del profeta Geremia che mettevano in dubbio il suo potere. Poi, il diluvio. Non quello biblico, quello sul rapporto tra arte e politica e quindi di censura. Dall’Inquisizione agli algoritmi di Facebook, dai romanzi proibiti alle pruderie sugli anime giapponesi la censura nel corso della storia ha assunto svariate forme. Pochi esempi (tra i moltissimi): 1- Il Bauhaus. La scuola e il movimento artistico fondati da Walter Gropius furono inserite dai nazisti nella lista delle forme di arte degenerate, assieme a molti esponenti di espressionismo, fauvismo e dadaismo. La scuola di Weimar fu di conseguenza chiusa e i suoi artisti si dispersero. 2- Dario Fo e Franca Rame. Chiamati a presentare il prestigioso Canzonissima nel 1962, i due attori si distinsero in monologhi urticanti che affrontarono temi come mafia e morti sul lavoro. La Rai li allontanò subito. 3- Arcipelago Gulag. Uscita nel 1973, l’opera di Solzhenitsyn aprì gli occhi sui campi di rieducazione e lavoro sovietici. In Urss fu vietato fino al 1989 e dal 2009 è invece lettura obbligatoria in tutte le scuole russe. 4- Lady Oscar. Incentrato su una nobildonna che si veste da soldato per seguire le proprie ambizioni militari all’indomani della Rivoluzione francese, l’anime in Italia subì parecchi tagli, soprattutto per le scene d’amore con l’amato André. 5- Piccolo uovo. Nel 2015 il sindaco di Venezia tentò di censurare una serie di libri che secondo lui diffondeva la teoria genere, come ad esempio la storia di un ovetto che scopre che esistono molti tipi di famiglie.

6- Il web in Russia. Uno dei paesi con i più gravi problemi di gestione della libertà di espressione, la Russia di Putin nel 2017 ha censurato più di 110 mila pagine web, circa 244 al giorno. 7- Il bacio Di Maio- Salvini. Nato come un’estemporanea provocazione politica, il murales sorto a Roma che voleva suggellare l’alleanza alla base del governo giallo-verde è stata prontamente coperto.

Ecco, rimaniamo un attimo su Salvini. Quando andava in giro per piazze a parlar di immigrati, c’era qualcuno che appendeva sui balconi la scritta “restiamo umani” che mica era un’offesa, piuttosto era una sottolineatura di una differenza oggettiva tra chi viveva in quella casa e chi stava parlando sul palco. Bene, capitava sempre che le forze dell’ordine facessero rimuovere quello striscione anche entrando in casa del povero umano. Robe da matti no? Beh, nulla in confronto a quanto capitato ad un artista di Schio, residente a Padova, che si fa chiamare Evyrein. Questa è la sua storia.

Iniziamo dalla fine, ovvero da questi giorni. Nella notte tra il 21 ed il 22 gennaio, l’urban artist Evyrein colloca il suo pasted up in zona ghetto ebraico a Padova. L’opera raffigura il Presidente Meloni e il mafioso Messina Denaro che si stringono la mano con sopra la scritta “in Bonafede” (il nome che si era dato il malavitoso). Dopo venti minuti due ragazzi passano, lo tolgono e se lo portano via. “Non faccio murales – ci dice l’artista – era pasted up e metà bombola spray. Non volevo assolutamente comunicare una precisa collocazione. Io non sono schierato politicamente. Cosa volevo dire? Beh, parlare del rapporto stato-mafia, una vecchia storia, e farlo artisticamente, sia chiaro. Anziché Meloni potevo fare una bandiera italiana ma ho messo lei perché rappresenta lo stato in questo momento. Non considero la politica come fazione. Per me l’arte è anche provocazione ma non presa di posizione”.

“Dopo di che – continua Evyrein – tre settimane dopo, mi bussa la digos a casa alle 5.45 ed entrano con atteggiamento veemente ma dopo 15 minuti che erano qui avevano capito che ero tranquillo e quasi si sentivano in imbarazzo. Non posso dire nulla di male a loro. Fanno il loro lavoro. Uno mi ha anche chiesto magliette che facevo anni fa. Sembravano un meccanico della Ferrari che è mandato ad aggiustare un Ciao. Eppure sono entrati in modo molto potente, mettendo a soqquadro la casa, dotati di telecamere, per fortuna senza armi spianate. La mia ragazza era terrorizzata, pure io ma cercavo di dominare la situazione. Poi mi hanno portato in questura, la scientifica mi ha fatto ben 70 foto, anche a tutti i miei tattoo (e li descrivevano pure a mano). Mi hanno sequestrato vestiti, bombole, pennelli, iPad (che mi hanno riconsegnato l’altro ieri). Adesso lo vendo. In tutto dalle 5.45 quando sono entrati, sono stato rilasciato dalla questura alle 14. Come un criminale”

Evyrein inizia a frequentare il mondo dei graffiti negli anni ’90 ma non ancora come protagonista (“facevo da palo in sostanza” dice lui). Poi la passione sale, va a Londra, capisce Banksy e gli esplode la passione per la street art. Siamo nel 2002/2003. Un bel giorno (qualche anno fa) decide di uscire per strada e buttare la sua roba là. “Non sto emulando Banksy – dice – ma comunque non è il caso farsi vedere”. Opera in gran parte del Veneto, soprattutto a Padova e Schio, poi Treviso, Bassano, Venezia, Vicenza dove un lavoro gli è stato tolto il giorno dopo (raffigurava una bambina che indicava un QR code che potevi scannerizzare e mandava un’immagine di Picasso).

Tra le sue tematiche vi è sempre un fondo di attualità. Non c’è politica sempre e comunque, come potrebbe sembrare. C’è la società, c’è quello che ci gira intorno. Il taglio è critico, da osservatore, da dissacratore, provocatore, ma non di certo da pericoloso rivoluzionario.

Ma torniamo a quella notte, che è ancora vivissima nelle sue emozioni. “Quel primo quarto d’ora durante l’irruzione a casa mia è impossibile da scordare. Erano molto decisi e risoluti. La cosa assurda è che quando ho aperto la porta ed il commissario mi fa “polizia” mi son tranquillizzato perché ero convinto fosse un errore. Non avevo minimamente considerato potessero essere da me per la street art. Poi però mi chiedono dov’ero il 22 gennaio e lì il clima è cambiato. Non erano qui perché avevo imbrattato un muro ma per quello che conteneva l’immagine su quel muro. Se fosse arrivata una raccomandata mi sarei presentato e difeso e mi sarei assunto le mie responsabilità. Sarebbe stato magari grave uguale perché per me non era affatto vilipendio. Per me era già strano mi multassero per imbrattamento, figuriamoci per il contenuto.

Adesso cosa succede? L’artista rischia una multa molto salata, il reato contestato è vilipendio allo stato. La cosa buffa è che nemmeno il titolare del palazzo su cui campeggiava l’opera ha sporto denuncia, non gli interessava. Nessuno ha denunciato, di fatto ci sono solo state delle segnalazioni ed il pm ha detto “andate a casa di questo”. Il caso è molto delicato e spinoso. Noi abbiamo sentito l’opinione di diversi legali. La questione, da un punto di vista tecnico, è che il vilipendio è normalmente inteso come dileggio fine a se stesso e come tutte le fattispecie di illecito, oltre all’elemento materiale richiede anche la componente soggettiva. Ci deve quindi essere l’intenzione di dileggiare. Dopo di che il rapporto tra arte e i reati di opinione è un rapporto difficile perché la libertà di espressione è uno dei capisaldi del nostro ordinamento. L’arte può, e in alcuni casi deve, essere provocatoria ma deve avere sempre una finalità artistica ed è proprio questo il caso. Il problema quindi è sì soprattutto etico, ma molto anche giuridico. Su Faiinformazione.it, il portale riferibile al Fai, Giovanni Vullo commenta: “il fatto inquietante a cui mi riferisco non sta certo nell’opera dissacrante del writer, il fatto inquietante sta nel pensare che questo murale configuri il vilipendio ipotizzato dal magistrato, che avrebbe pure richiesto una gravosa perquisizione con sequestri e foto segnaletiche, salvo il perdurare, a tutt’oggi, dei post social sul murale nei profili dell’artista indagato”. Prosegue Vullo: “Se poi volessimo esaminare l’opera di Evyrein, la lettura sarebbe pure semplice. Vedo un mafioso latitante che girava indisturbato al suo paese stringere la mano a un rappresentante dello Stato… la presidente Meloni… lo stesso Stato che gli ha fatto il …favore…, ossia la stretta di mano… di non essere stato capace di individuarlo per tutto questo tempo nonostante fosse sotto il suo naso”. Alla fine cosa possiamo dire? Innanzitutto diamo la nostra solidarietà ad Evyrein e poi ci preoccupiamo di monitorare questa china preoccupante da stato di polizia.

Aprile 2024

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