DIECI ANNI DI PALLADIO MUSEUM

Vicenza è Andrea Palladio o è molto altro e molto di più di Andrea Palladio? Ci sono fronti quasi opposti a riguardo, tra chi sostiene che dovremmo “emanciparci” dall’immagine univoca che ci rappresenta e chi invece pensa che il brand palladiano sia in realtà non valorizzato appieno. La verità, per una volta, non sta nel mezzo ma in entrambe le posizioni. Vicenza (e la provincia) ha non solo una storia importantissima ma ha un presente e, si spera, un futuro legato a creatività, impresa, arte e innovazione che va oltre il solo fatto di essere “la città del Palladio”. Al tempo stesso, negare che il sommo architetto sia simbolo, esempio e bardo della vicentinità nel mondo, sarebbe come negare noi stessi.

Per quanto ci riguarda, Vicenza è Paolo Rossi, il baccalà, Antonio Pigafetta, Goffredo Parise, i bigoli con l’arna, Carlo Cracco, Antonio Fogazzaro, Madame, persino Amy Adams ma, soprattutto e sopra tutti è Andrea Palladio. Il motivo lo si vive ogni giorno per le vie del centro, o girando per la provincia dove le ville si mostrano nella loro immutabile bellezza. Si tratta di un’armonia che attraversiamo ormai abituati, come fosse normale e non eccezionale. Ma vivere dentro all’architettura palladiana è come abitare una sinfonia di Mozart, essere cioè pregni di una sezione aurea naturale che rappresenta stile, equilibrio, eleganza. Un privilegio che molti vicentini non comprendono fino in fondo, indaffarati a camminare a testa bassa verso la loro mèta, o annoiati dal “solito” refrain che li circonda con pizzerie, centri commerciali, vie, parcheggi, cinema, tutti a nome “palladio”. Invece il lavoro di divulgazione sull’opera e sull’era palladiana è fondamentale e può essere la base stessa di una comunità che in questo modo trova un’identità da esprimere.

In questi giorni il “Palladio Museum” festeggia i suoi primi dieci anni di vita e abbiamo incontrato il direttore Guido Beltramini per parlare di cosa sono stati questi dieci anni e di cosa ci aspetta in futuro per questa istituzione di primaria importanza che la città dovrebbe forse sentire più propria come casa di tutti.

Com’è nato il progetto del museo?

Nasce tutto grazie a Renato Cevese negli anni ’70 quando venne organizzata una bellissima mostra in Basilica su Palladio che poi girerà il mondo. L’idea era, in sostanza, di rendere quella mostra permanente. Si è lavorato per tantissimi anni, è stato acquisito Palazzo Barbarano Da Porto e nel 2012 siamo riusciti ad aprire il museo. L’intento era (ed è rimasto) far capire come Palladio fosse nel ‘500 l’architetto dell’area più dinamica d’Europa, e come già allora i nobili vicentini mecenati ed imprenditori fossero gli equivalenti degli odierni Rosso, Dainese, Marzotto, eccetera…

Attraverso Palladio quindi raccontate Vicenza?

Certo. Palladio è parte di un progetto in cui una città piccola di provincia (visto che Verona era sulla direttrice tedesca, Padova aveva già una grande università e Treviso era quasi una frazione di Venezia) doveva reinventarsi e l’architettura divenne la cifra della città. Ci si è inventati una realtà fondata sull’architettura ed attraverso essa si è dato senso all’essere vicentini. Le famiglie dei nobili non solo hanno concordato nel fare la grande Basilica ma ogni famiglia si è impegnata nel rendere bella la città curando la realizzazione del proprio palazzo. Il museo doveva essere il racconto di tutto questo.

Si può dire che il museo sia stato una logica conseguenza del lavoro del CISA?

Il CISA nasce nel 1958 con la volontà di fare di Vicenza la capitale degli studi palladiani. Il museo doveva raccontare al grande pubblico le ricerche su palladio compiute dal CISA. Un punto permanente dove i turisti possono capire come lavorava Palladio nella sua epoca e poi uno strumento fondamentale per la formazione dei giovani. Le scuole di tutta Italia frequentano il museo in numero sempre crescente. Il museo diventa uno strumento per giocare imparando. Abbiamo migliaia di bambini ogni anno. Crescere a Vicenza guardando e conoscendo gli edifici palladiani è quasi un dovere e noi abbiamo il ruolo di promozione e di formazione.

Cosa c’è in cantiere per l’anniversario dei dieci anni?

Il 4 ottobre del 2012 inauguravamo il museo, ora, per i 10 anni, abbiamo chiesto ai direttori dei più interessanti musei di architettura d’Europa di venire qui e capire quale può essere il ruolo e il compito dei musei di architettura. Avremo ospiti i rappresentanti dei musei d’Estonia, Svezia, Norvegia, Francia e Austria, tutti a ragionare su quale è il “mandato” dei musei di architettura. La settimana dopo, il 7 di ottobre l’attenzione sarà spostata verso i responsabili dei programmi dedicati espressamente ai bambini. Il 12 novembre invece aprirà una grande mostra che illustrerà com’erano fatte le fabbriche al tempo di Palladio. Una ricerca di anni in cui abbiamo ritrovato le tracce di questo nordest produttivo già nel ‘500. Si pensi che la prima legge per realizzare i brevetti in tutta Europa nasce a Venezia nel 1470 e subito dopo ci fu un boom di brevetti per costruire delle macchine in grado di imprigionare l’energia dei fiumi. C’era l’acqua forte derivata da fiumi con portata costante e i brevetti erano quasi tutti pensati per trasformare in energia il moto circolare della ruota del mulino. Anche l’arte ce lo mostra. Sullo sfondo di un Tiziano si vedono fonderie in cui i mantici erano alimentati da ruote di mulini. In un Bellini si nota chiaramente che dentro i palazzi entrava l’acqua, sempre con dei mulini. La mostra si chiama “Acqua, terra e fuoco”.

Il vicentino che conoscenza ha di tutto questo e in particolare di Palladio?

Tasto dolente. In tutto il mondo conoscono Palladio ma da noi c’è da fare ancora molto lavoro. Io credo che gli edifici siano come il computer che noi usiamo ogni giorno ma di cui non ci poniamo mai la domanda “come funziona davvero?”. Noi vorremmo far crescere una generazione con una consapevolezza diversa. Ci sono laureati che vanno la prima volta al Teatro Olimpico. Se vogliamo che il nostro patrimonio sopravviva dobbiamo comunicarlo alle giovani generazioni. Siamo però contenti perché il museo è un luogo vivo. Quest’anno abbiamo fatto un campo estivo per 9 settimane con 30 bambini a settimana che studiavano e poi uscivano per la città a comprendere meglio e a disegnare gli edifici. Palladio è un legante importante per costruire un processo di integrazione con i nuovi vicentini, come gli americani che conoscono la casa bianca ma non Palladio. E a loro diciamo che fu Thomas Jefferson a decidere che la “White House” doveva basarsi su un’architettura di una repubblica e quindi Venezia e quindi Palladio.

Guardiamo al futuro: cosa si immagina tra dieci anni?

Dieci anni fa piantammo un gelso che cresce e ci ricorda l’importanza del tempo e della cura e che l’arte e la natura ci sopravvivono ed è simbolo di una comunità che ora è più grande di allora. La nostra idea è lavorare sull’integrazione tra la storia dell’architettura e l’economia. Molti dei materiali della mostra diventeranno permanenti nel museo. La storia di Palladio deve essere sempre più la storia di Vicenza. Non dobbiamo immaginare Palladio come archistar, è stato allevato a Vicenza per cambiare il volto della città, e l’ha fatto, per sempre.

Digitalizzando Palladio

Il Centro Internazionale di Architettura Andrea Palladio, i Musei Civici di Vicenza e la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio

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