Perché la manifestazione cittadina per Draghi non è stata solo politica ma soprattutto culturale.

Si scrive “flash mob”, si pronuncia “manifestazione”. Ma quella di cui parliamo non aveva affatto l’aria di
quei riti da piazza tipici delle battaglie sindacali o della sinistra e tantomeno di incontri orgogliosi e puri
della destra tornata a contare, eccome, nel paese. Quella che si è tenuta ieri in Piazza delle Erbe a Vicenza
era una serena, composta e quasi timida, occasione di incontro tra persone che chiedono serietà e non ne
possono più di boutade un tanto al kilo ad usum social. Vicenza e provincia erano rappresentate in
maniera trasversale ma circoscritta ad un comune sentire di tipica e classica estrazione moderata e
liberale. Non una folla, ma una serissima rappresentanza di una maggioranza silenziosa che magari non è
abituata a piazze e striscioni ma che guarda con sempre più attenzione e speranza ad un cambio politico e culturale. Perché culturale? Perché rifiutare la facile scorciatoia banale di una certa politica è, di fatto, una posizione culturale. Perché troppo in basso è arrivato il livello della classe dirigente di questo paese, a
tutti i livelli di amministrazione. E perché non sono tanto le cose da fare ma è molto chi le fa. Se dai una
calcolatrice ad un imbecille, è molto probabile costui la usi per cambiare canale. Il populismo è
semplificare, ridurre a stereotipi o slogan, spararla grossa per appagare la pancia e svuotare i bisogni del
cervello. Se fai dieci marciapiedi nuovi, arriva puntuale il populista che ti dirà “e perché non venti?”. Se
investi in una palestra multifunzionale, arriva sempre lo stesso a dirti “perché quei soldi non li metti nei
parchi pubblici?” e così via… Il punto è che il mondo è complesso e oggi lo è anche molto di più. E un
mondo complesso incontra soluzioni complesse, mentre i fautori della via facile riducono ad un nulla
semplicistico anche lo scoglio più enorme. Eccola la spinta culturale, ecco la vera rivoluzione: andare
contro l’atteggiamento demagogico volto ad assecondare ed ad accattivarsi le aspettative del popolo,
indipendentemente da ogni valutazione del loro contenuto, della loro opportunità, in funzione
dell’ottenimento di consenso politico o di popolarità attraverso varie possibili forme di propaganda
politica. Si chiama populismo e non ha nulla a che vedere coi veri bisogni del popolo, nonostante per i
populisti il nome significhi quello. Ma pretendere che si riconosca di sbagliare è come pretendere che un
ignorante sappia di esserlo. Socrate, lo sappiamo, da lassù ci sorride e annuisce.

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