Una giornata ad Arcugnano. Angeli sulla croce, e artisti nella natura.

Se ne sta là, appollaiato su una croce, immobile sentinella. Eppure un senso univoco non lo comunica. Se
non un immediato stupore. Da una decina di giorni a Torri di Arcugnano, esattamente in località Monte
Crocetta, svetta un simbolo che ha subito attirato l’attenzione e la curiosità di tutti. Un uomo, una figura
di uomo, totalmente bianco, seduto sulla croce di ferro posta sopra ai resti di quella che era une delle due
torri (da cui il nome della zona) che sovrastavano il territorio in posizione panoramica strategica.
L’insediamento risale ai tempi del primo medioevo e la collina è un antro di pace, meta di falò, chitarre e
spinelli e, si spera, anche di camporelle focose che ce n’è sempre tanto bisogno. Rimane però la
croce, un’imago mundi corrispondente a uno degli atti dell’uomo, quello di orientarsi sia in senso spaziale
temporale, sia nella dimensione trascendente, simbolo trasmesso dalla tradizione, che il Cristianesimo
conservò inglobandolo nella propria teologia della Redenzione. E sulla croce, un uomo bianco. Seduto. Il
primo sentimento, tra i molti, che viene sollecitato è quello della solitudine. L’uomo che scappa verso il cielo, che trova sede in un simbolo di pace ma anche in un monito. Un uomo che guarda il paesaggio ma che potrebbe anche aver gli occhi chiusi, essere mestamente serrato in se stesso nel tentativo di essere lasciato in pace. Un Ciccio Ingrassia di felliniana memoria che va su, in cima all’albero a gridare “voglio una donna!”. Solo che questo eremita color dell’avorio, non grida, se non con l’urlo del silenzio. Immerso in una natura baciata dal sole della candelora, nel silenzio di una valle che da sotto non trasmette il frastuono del traffico, ci si sente come lui, guardandolo dal basso, e sperando di potergli fare compagnia. Sempre ne volesse.

Non ha molto senso concettualizzarne il messaggio ma è impossibile non venga spontaneo farlo.
Quest’uomo ci dice che la vita non è più su questo mondo che stiamo martoriando, che si deve avere una
visione alta e dall’alto, per tentare di comprendere e di comprenderci; che il troppo è nemico del meglio;
che riflettere necessita intimo ritiro e che un gesto è folle solo per chi non riconosce la follia che invece
sta di casa nella liturgia quotidiana della normalità. Unico pensiero che non passa per la testa è che egli si
stia gettando di sotto. Perché dovrebbe dopo la fatica fatta per arrivare fino a là? La sua non è una fuga, la sua è una scelta, è un cambio di prospettiva, è una casa più sicura.
Nessuno sa chi sia l’artista che sta dietro a tutto ciò. Nessuno l’ha visto arrampicarsi; in paese se ne parla,
qualcuno ha indizi ma poi non si ottengono risultati che portino allo svelarsi del mistero. Sindaco
Pellizzari e assessore Muraro, se ne stanno naso all’insù mentre presiedono alle operazioni di messa in
sicurezza della scultura, che in effetti a quell’altezza sarebbe potuta volar via facilmente. Ma nessuno ne
conosce la provenienza. In tempi come i nostri è una delicata, commovente quasi, situazione poetica.

Tra il piccolo boschetto del Monte Crocetta, altri angeli o presunti tali trovano casa. Sarà il luogo che li attira oppure una sensibilità diffusa nella zona. Fatto stà che ai piedi della croce compare un demonangelo, figura mezza angelo e mezza demone, con un cuore rosso che rappresenta il contatto con la terra.

L’idea che possa essere opera dello stesso autore dell’uomo sulla croce è forte. Ma dopo una breve indagine condotta in paese risulta che il demonangelo sia frutto del lavoro creativo di Giovanni Grey Grigoletto, che subito smentisce categoricamente l’essere anche il responsabile dell’angelo bianco che sta su in alto. Incuriositi comunque, seguiamo l’artista fino al suo studio a Perarolo. Qui Giovanni raccoglie materiali di riciclo come vetro, ferro, plastica, legno, cartone, cera, e li unisce con un collante termofusibile. Il senso è quello di un abbraccio di materiali che simboleggiano il bisogno che abbiamo noi tutti come comunità di cooperare per unirci e, appunto, “incollarci” l’uno all’altro. Il Demonangelo è un fauno, un protettore del bosco e simboleggia la dualità della persona, del nostro carattere, dualità che si trova in ogni cosa. Poco prima della pandemia alcune di queste opere trovarono collocazione temporanea in Piazza delle Erbe a Vicenza.

“Parto dall’esistente, dal riciclo, perché nulla va scartato e soprattutto nulla va giudicato come scarto – racconta Giovanni. Anche nella vita, con le persone, nessuno può permettersi di definire qualcun altro uno scarto. Con la mia arte cerco di dare messaggi alchemici per cercare un’introspezione, per stimolare la gente a guardarsi dentro. L’ispirazione mi è data dai materiali che trovo. Spesso mi arrivano dalla gente che me li tiene”.

Giovanni ha iniziato con mostre “fai da te” per poi essere notato e chiamato da un gallerista romano. Dopo un paio di anni nella capitale è tornato qui appoggiandosi alla “Venice art gallery” di Giorgio Gregorio Grasso e successivamente alla “Patty’s art gallery”. In questo momento sta lavorando liberamente e si sta aprendo un sito proprio. Ha collaborato con Mediaset per “Luce dei tuoi occhi ” e con varie band del territorio come attore e scenografo nei clip musicali. Inoltre ha curato sceneggiature per varie compagnie teatrali locali “La giostra”, “La trappola” e “Theama”.

Un ringraziamento ad Andrea Pieropan per il video e le foto.

Aprile 2024

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