E’ un odore forte e penetrante di inchiostro, solventi e carta quello che ti arriva dritto addosso e ti sale nel naso appena entri. Poi la sensazione immediata di essere fuori dal tempo, in un passato perenne che non lascia posto ad altro se non a quello che avviene dentro a quell’ambiente. Un microcosmo di tradizione, creatività, pazienza, magia. Pare di essere catapultati in uno di quei musei dell’artigianato in cui passi in rassegna macchine e processi produttivi di secoli fa con fare antropologico e curioso. Ma la differenza è che qui tutto è presente, tutto è attivo, esattamente come secoli fa e chissà per quanto tempo ancora.
Johann Alois Senefelder sarebbe fiero di entrare nella stamperia Busato. Quando inventò la litografia nel 1791, lo fece per necessità. Era uno scrittore di un certo successo ma con gli editori le baruffe erano all’ordine del giorno. Si persuase quindi di stampare in proprio le sue opere ma per poterlo fare avrebbe avuto bisogno di presse e carta che erano troppo costosi per le sue limitate finanze. Così si scervellò su come trovare un metodo alternativo di stampa e dopo vari tentativi finì con l’utilizzare la pietra calcare di Solnhofen e l’inchiostro litografico che è oleoso e grasso e resistente all’acido. Dopo 230 anni, Busato ancora lavora nello stesso identico modo. In questa bottega/fabbrica, Giancarlo e Valerio sono perfetti eredi di Senefelder, e vederli all’opera aggiunge il definitivo tocco di sublimazione temporale che ti porta davvero in un’altra epoca, dove tutto era più lento, più moderato, più pensato, e forse anche più umano.
Valerio Rigo lavora qui da 44 anni. Aveva appena 15 anni e chiaramente non pensava dovesse preoccuparsi di trovare il lavoro di una vita. Galeotta fu una visita in stamperia, per trovare amici che la frequentavano. Non se ne andò più. Erano gli anni in cui artisti come Vico Calabrò (un vero maestro che aiutò tutti quelli che gravitavano attorno a Busato) Tono Zancanaro e Augusto Murer, definivano l’arte dell’incisione e della litografia a livello internazionale. La sezione “artistica” della stamperia era stata avviata da Neri Pozza, assieme ad Ottorino Busato, nonno di Giancarlo. Da allora per queste stanze sono transitati anche alcuni dei più grandi artisti del novecento come Guttuso, Brindisi, Treccani.
“Senza l’artista – ci racconta Giancarlo Busato – io semplicemente non lavoro. Siamo come dei falegnami che magari hanno la bottega migliore del mondo ma che senza legno non saprebbero che fare. Non siamo artisti, siamo tecnici stampatori. Prepariamo i materiali per gli artisti e interpretiamo ciò che l’artista vuole, quello che lui ci da in mano attraverso la sua matrice”. Le matrici di cui parla Giancarlo sono in genere di rame o di metallo per l’incisione (calcografia) ma possono essere di legno per la xilografia o di pietra per la litografia. La tecnica per le incisioni forse più affascinante è quella della “puntasecca” (utilizzata da Neri Pozza) in cui la matrice viene incisa direttamente con una punta metallica dura e acuminata. Quel che incidi rimane, niente correzioni, un errore e la matrice è da gettare. Altra tecnica è quella detta ad “acquaforte” che comporta un segno fatto precedentemente sulla cera, è meno in rilievo ma dura di più.
La durata di una matrice è uno dei tantissimi esempi di come questo lavoro abbia molte sfumature filosofiche e concettuali intrinseche. Ogni copia è leggermente diversa, e non se ne possono nemmeno fare troppe perché occorre ricordare che si interviene pur sempre su dei segni fatti a mano e ogni volta che la matrice viene inchiostrata e passata sotto torchio, i segni cambiano. Ecco il fascino, il mistero e l’alchimia. Si deve amare l’imprevisto, conoscere minuziosamente le possibilità tecniche. Il tutto diviene un’avventura visto che quasi sempre il risultato finale non è esattamente quello che ti attendevi ma è come prendesse una vita propria. E poi c’è l’attesa e il tempo che scandisce l’arte. L’artista vede nascere e crescere tutto in tempo reale. L’arte grafica ha la particolarità del multiplo che è anche una sfortuna visto che molti credono si tratti di copie identiche. Ma il multiplo non è mai identico. Il valore di ogni singola opera è quello di un pezzo unico.
Da quando Ottorino Busato aprì, nel lontano 1946, le cose sono cambiate e pure molto. Oggi questa stamperia è una delle 4 o 5 rimaste in Italia a lavorare in questo modo. Il lavoro va perdendosi, il digitale è un nemico senz’altro ma anche la fatica, perché per lavorare così come Giancarlo e Valerio, ci vuole una passione abnorme e una pazienza fuori dal comune. Forse anche per questo ad una certa ora Valerio mi dice, ridendo, che da stampatore diventa “stappatore” e un goccio di vino fa terminare la giornata con un sorriso e un calore indispensabili.
Se un tempo c’erano molti artisti con cui collaborare, oggi sono rimasti davvero pochi. Stefano Luciano è, tra i giovani, sicuramente la figura di spicco in città e il suo “spaziografica” in Corso Fogazzaro merita senz’altro la visita. Un artista attento che usa scenari di archeologia industriale nelle sue opere per comunicare una riflessione sul presente. Ne riparleremo. Altri più anziani e non meno importanti sono Vico Calabrò e Galliano Rosset, che portano avanti la tradizione. Ma rimane il fatto che anche Giancarlo Busato sia stato costretto ad adattare la sua stamperia ai tempi correnti.
“Questo posto è sempre stato un trampolino di lancio per i giovani artisti – dice Giancarlo. Se ci pensi tutti i più grandi hanno fatto litografie ed incisioni ed il motivo è che così riesci a vendere con più facilità la tua firma, lo dico sempre ai ragazzi che iniziano. Il problema è che oggi tutti pensano di saper fare tutto e hanno paura di non avere soldi sicuri e gli artisti che vivono solo della propria arte non ci sono quasi più ed anche questo è un motivo per cui le stamperie sono pressoché scomparse. Noi attualmente abbiamo 5 o 6 artisti “veri” con qui lavoriamo. Ma se sono ancora qui è perché ho aperto le porte della bottega al mondo fuori. Soprattutto le scuole e i laboratori all’interno delle scuole. Ma poi i turisti, gli stranieri, gli studi internazionali di cultura, tra Brasile, Messico, Perù ed Australia, dove portavo le mostre delle opere storiche della stamperia o degli artisti italiani (o di Palladio) avendone un grande ritorno in immagine e credibilità. Poi l’alternanza scuola-lavoro, gli stagisti, i laboratori, le guide turistiche. E per finire, mi son preso un torchio piccolo e vado in giro a mostrarlo dove e quando posso. Adesso ho aperto uno spazio a Torino dentro al “Print Club Torino” dove ho un mio corner in cui organizzo workshop una volta al mese”.