Il Santuario di Monteberico patrimonio culturale. Prima parte

Vicenza ha un cuore che sta in alto, un osservatorio che vigila silente ma costantemente presente ormai da quasi sei secoli. Se per antonomasia siamo la città del Palladio, siamo ugualmente e forse di più la città della Madonna di Monte Berico. Un faro, un’icona, una presenza spirituale e storica oltre che sacra. E nonostante la grande importanza simbolica del Santuario, vi è ancora molto da comunicare, da considerare e da condividere su questa parte integrante non solo della città ma propriamente dell’identità vicentina. Negli ultimi tempi, il Piazzale della Vittoria è diventato palcoscenico per scorribande più o meno goliardiche, a dispetto della sua relazione con la Basilica. Non dimentichiamoci che dopo la Grande Guerra questo belvedere ha avuto il suo sbocco sovrastante una Vicenza che nella “Madonna da Monte” ha la sua protezione e il suo specchio spirituale.

Ne parlo con una persona che meglio di chiunque altro, dal punto di vista storico-artistico, può spiegare e divulgare tutto questo. Lei è Agata Keran, studiosa e divulgatrice, impegnata da molti anni e con grande passione nella valorizzazione dei tesori d’arte custoditi nel Santuario.

La sfida rappresentata dalla pandemia ha imposto un cambio di marcia forzato e le attività culturali sono in una fase di forte rilancio. “È in corso adesso un programma di valorizzazione del patrimonio culturale e artistico del Santuario – dice Agata – il primo evento del nostro programma annuale è stato realizzato in occasione di san Giuseppe, nel mese di marzo in pieno lockdown, e in quella circostanza abbiamo inaugurato una sorta di archivio online delle attività culturali, messo a disposizione nel canale YouTube del Santuario.

Il patrimonio presente nel Santuario è talmente vasto, multiforme e ricco di sollecitazioni che è necessario mettere a fuoco diversi modi per comunicarlo a persone di ogni età e cultura di provenienza. Anche perché, come mi conferma lei “Se il quadro del Veronese è arcinoto ed attrae migliaia e migliaia di persone di tutto il mondo, ce ne sono molti altri che nessuno va a vedere, perché non sono conosciuti”. Tra i capolavori celebri va ricordata assolutamente la magnifica “Pietà” di Bartolomeo Montagna, collocata nella parte più antica della chiesa, nei pressi dell’altare maggiore.

Ma ci sono molti altri racconti d’arte da incontrare attraversando vari ambienti del Santuario che si svela nella sua natura di museo diffuso. Un esempio interessante è la figura di Andrea Brustolon, bellunese di nascita e veneziano di formazione, sublime intagliatore attivo tra Sei e Settecento, il cui crocifisso ligneo con Maria Maddalena ai piedi della croce è tra le opere da vedere nella raccolta museale riallestita nel 2019, dove trova collocazione anche il dipinto raffigurante la Maddalena penitente. Queste due opere, assieme al ritratto della Maddalena presente nella “Pietà” di Bartolomeo Montagna hanno ispirato di recente una serata all’insegna del connubio tra spiritualità, arte e musica, per cui Silvia Fabian, direttore del coro Schola Poliphonica del Santuario di Monte Berico, ha elaborato un programma musicale ad hoc per accompagnare la narrazione storico-artistica di Agata Keran, con l’apporto teologico di suor Elisa Panato dell’Associazione Presenza Donna.

Attualmente è in cantiere un progetto molto impegnativo, in collaborazione con la Diocesi di Vicenza, per una mostra documentaria dedicata ai 30 anni dalla visita di Papa San Giovanni Paolo II a Vicenza. L’evento avrà anche delle immagini fotografiche inedite prese al tempo da Gennaro Borracino. Altro anniversario cadrà a novembre e riguarderà la storia artistica e la figura umana di Gueri Da Santomio. “Sono tutte scelte di mostre ed eventi dedicate a persone che furono molto legate al Santuario”, conferma Agata.

Chi vive a Vicenza non sempre si rende conto del fermento culturale che c’è a Monte Berico, che non di rado viene immaginato come un posto a sé, distaccato dal resto della città.

Da porre in rilievo l’attività quotidiana della Biblioteca Berica e dell’archivio conventuale, che diventano sempre di più un riferimento per lettori e studiosi non solo del territorio vicentino, oppure la già citata Schola Poliphonica, una vera eccellenza nell’ambito corale. A questi si aggiunge anche il Cenacolo degli artisti del nostro tempo che espongono periodicamente nella sala “Sette Santi Fondatori” e promuovono conferenze e incontri che spaziano tra arte e musica. Quindi il Santuario può essere definito un vero e proprio centro di cultura.

“È un problema certamente storico quello della percezione di lontananza – riflette Agata – perché in antico si trattava di un legame forte ma “fuori mura”. I santuari di per loro hanno una cultura che entra in quella che è la storia ai margini, perché non sono parrocchie e anche quando si trovano nel cuore della città hanno una storia per alcuni aspetti a parte. Il Santuario è un luogo prima di tutto della devozione popolare, un rifugio dal mondo nei momenti di crisi e di avversità. Il nostro però ha una particolarità in quanto nasce come tempio innalzato per volere esplicito delle autorità municipali e quindi del comune di Vicenza. A tutti gli effetti, è un ex voto della città intesa nella sua interezza. Si narra, infatti, che dopo la prima apparizione mariana, avvenuta nella primavera del 1426, la testimone Vincenza Pasini non venne creduta per quasi due anni e giunse al compimento della sua missione solo quando le autorità comunali le diedero ascolto.

Nel corso del tempo, questo carattere peculiare verrà messo sempre più in evidenza. Non a caso, approcciandosi al Santuario, nella sua facciata orientale, trova luogo lo stemma della città e l’immagine di san Vincenzo che dal 1387 è stato il patrono principale della città fino al momento in cui Paolo VI, nel 1978, elegge la Madonna di Monte Berico a patrona di Vicenza. Quindi, in sostanza, si può senza dubbio affermare che questo è un Santuario legato profondamente all’identità municipale.

Un’altra cosa legata alla percezione del santuario è il tema delle origini che da sempre gli storici individuano come cruciale, per non parlare poi dell’intervento di Palladio sulla Basilica di cui oggigiorno mancano del tutto tracce tangibili. Intenzionalmente, Agata desidera non trascurare la narrazione relativa agli ultimi secoli, considerando varie evoluzioni e i cambiamenti avvenuti dal Settecento in poi. Raccontare la storia dell’arte non è elencare e descrivere didascalicamente ma entrare nell’animo dell’opera e nel rapporto con la società che l’ha espressa. In linea con questa convinzione, Agata fa storia culturale dell’arte. Lavora ad integrare il preesistente bagaglio di conoscenze arricchendolo con nuove acquisizioni scientifiche e riflessioni, per far fiorire in seguito quelle che sono le possibili narrazioni.

Il santuario come complesso è una sorta di museo diffuso dove una persona ha l’occasione di vivere un’esperienza olistica a 360 gradi dello spazio che custodisce multiformi testimonianze di una memoria collettiva che riguarda non solo i devoti cittadini di Vicenza ma anche i forestieri che spesso hanno omaggiato il Santuario. Tra questi ultimi spicca il nome di François-Guillaume Ménageot, direttore al dell’Accademia di Francia a Roma che, costretto ad abbandonare il suo ruolo all’epoca della Rivoluzione francese, arriva nella città berica come ospite del conte Camillo Valle, il quale aveva una villa nei pressi del Santuario. Il pittore stringe amicizia coi frati Servi di Maria e nel 1797 offre al santuario una pala neoclassica oggi chiamata la “Madonna degli Angeli”, il cui soggetto nasconde anche un altro racconto iconografico ovvero la fuga in Egitto, per ricordare metaforicamente l’esilio trascorso a Monte Berico.

Al centro di tutte le iniziative culturali, curate da Agata assieme con p. Roberto Cocco e p. Attilio Carrella, è il nuovo allestimento museale denominato “Tesoro della Madonna da Monte”. All’interno dello spazio espositivo, in questo momento, sono presenti oltre 300 opere, alcune di grande pregio e poi una miriade di cimeli devozionali con narrazioni molto intense e particolari. Il cuore del percorso sono gli ex voto che sono 130 testimonianze di vita, “pezzi di anima”. Il donatore dell’ex voto dona il proprio racconto, senza nascondere risvolti tragici. Quello che conta è il messaggio di ringraziamento e la lode innalzata dall’offerente. C’è un ex voto di grande pregio estetico realizzato dalla bottega di Paolo Veronese, ma lo sguardo incontra prevalentemente ex voto anonimi eppur mirabili nella loro disarmante semplicità. La tradizione è molto lunga e parte dal Quattrocento per arrivare ai giorni nostri. Non mancano le corone del Rosario offerte nel tempo come segno di preghiera costante al Santuario, tra cui Agata ama ricordare una fatta di bossoli sparati nella Prima guerra mondiale. Ma avremo tempo, nei prossimi mesi per approfondire nel dettaglio i capolavori qui conservati. Con il preziosissimo e fondamentale aiuto di Agata Keran e la presenza discreta e amorevole di chi è custode del Santuario sin dal 1435: i Servi di Maria.

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