TAV. AL VIA UN DECENNIO CHE CAMBIERÀ VICENZA. IN PEGGIO?

I vicentini non se ne sono ancora resi conto, coinvolti come sono nei cento problemi e nelle continue emergenze del loro vivere quotidiano. Non si sono resi conto che, in questi giorni di questo strano luglio del 2023 che alterna caldo subtropicale a pioggia e grandine epocali, si è avviato un processo almeno decennale che cambierà gran parte della loro città.
Non la forma urbis del Centro Storico, quella no. Resterà immutata per altri cinquecento anni, tanti quanti ne sono trascorsi dall’ultimo cambiamento urbanistico e architettonico firmato dall’archistar Andrea Palladio. E che resti sempre così, per carità, la città entro le mura, ormai una porzione minima dell’abitato ma quella che dà a Vicenza la sua cifra stilistica, il suo connotato di eleganza se non di bellezza pura. La città cambierà, invece, nel suo asse longitudinale, nel lungo corridoio che scorre sotto Monte Berico da est a ovest, in gran parte urbanizzata nelle anonime e brutte forme della periferia edificata dopo la guerra, senza ordine e senza decoro, badando alla funzionalità e spesso alla speculazione. E, soprattutto, senza tener in minimo conto l’identità del centro urbano, così vicino logisticamente ma così lontano stilisticamente.
Questa brutta periferia che affianca a nord e a sud la linea ferroviaria, tragicamente fatta correre dagli austro-ungarici a metà dell’Ottocento proprio ai piedi della collina che sovrasta la città, sarà quella parte dell’abitato che subirà modifiche sostanziali e diffuse. Mezza Vicenza sarà un’altra quando, si dice fra dieci anni ma aggiungerne almeno altri due non è pessimistico, chiuderanno i cantieri della linea ferroviaria Alta Velocità/Alta Capacità.
Come sarà, dopo, questa porzione di Vicenza? C’è da scommettere che sarà ancora più brutta. Perché il preesistente squallore della periferia resterà tale e quale e ad esso si aggiungerà una nuova viabilità invadente e dissonante, che intersecherà la orrenda sequenza di ipermercati e centri commerciali a cui l’assurda normativa regionale ha permesso di violentare le principali strade di accesso fino alle porte del Centro. Sarà più brutta, Vicenza, perché aumenterà la cesura con le colline, il Retrone, la Riviera Berica, la parte naturalisticamente più bella extra moenia. Una cesura di cui i vicentini devono ringraziare l’Imperial-Regia Privilegiata Strada Ferrata Ferdinandea Lombardo-Veneta, che staccò fisicamente le pendici di Monte Berico dalla città con quella devastante galleria-trincea che ne cancellò uno dei punti più ameni e naturali. In epoca moderna si è aggiunto, nello stesso punto, il complesso Borgo Berga-Tribunale, tanto per peggiorare la situazione.
Oltre che più brutta questa Vicenza sarà anche meno vivibile, perché, fra treni in aumento e velocità automobilistica pure, l’inquinamento peggiorerà. Perché la giornata di migliaia di vicentini sarà per forza di cose diversa e non è detto che sarà migliore, con consolidate abitudini da abbandonare e nuove esigenze da fronteggiare. Perché di rotatorie, svincoli, corsie preferenziali ce n’è già abbastanza oggi e figuriamoci fra dieci anni.
Tutto questo ambaradan solo per far passare attraverso la città due nuovi binari. Spendendo miliardi di euro, trasformando mezza Vicenza e non certo per migliorarne l’aspetto, obbligando i cittadini a anni e anni di disagi, disturbi, confusione. È il prezzo da pagare per un ipotetico efficientamento della linea ferroviaria, un progetto di trent’anni fa che oggi nemmeno è più attuale e redditizio.
All’inizio si era ipotizzato di far passare la AV/AC fuori dall’abitato urbano ed era la soluzione più logica e funzionale all’infrastruttura. Ma l’orgoglio della vicentinità ha detto no: non sia mai che la città sia tagliata fuori dalla nuova linea. E oggi si apre il primo capitolo di una storia che lascerà ai vicentini una città peggiore.

PER IL CAPPELLO CHE PORTO

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