Le giornate dedicate ad un tema, ad una ricorrenza, ad una memoria, sono sia necessarie che stucchevoli. Necessarie perché portano giocoforza a riflettere e a sensibilizzare, stucchevoli perché spesso colme di coscienze lavate. Vida (donna iraniana che vive da anni a Vicenza e della cui storia avevamo già parlato qui) non pare avere dubbi. “Perché c’è un giorno per la donna? Perché dobbiamo farne uno? Io non lo festeggio perché non c’è nulla da festeggiare. È un contentino, un giorno e poi facciamo quello che vogliamo. Se mi portano un fiore lo trovo offensivo”.
In Iran oggi c’è un nuovo nemico: l’intossicazione. Secondo le informazioni della BBC persiana, dal 30 novembre fino al 26 febbraio, almeno 830 studenti, tra cui 650 studentesse, più due insegnanti sono stati intossicati. “La situazione delle studentesse in Iran – ci dice Vida – è ora peggiorata moltissimo a causa dell’uso di gas e arsenici. Attaccano le scuole femminili, anche elementari, fino all’università per allontanare le ragazze dalle scuole. Esattamente come un regime talebano. Le donne protestano? E allora non le facciamo studiare. Niente scuola, niente sport. Però non capiscono che così facendo le donne diventano ancora più forti e numerose e coraggiose. Non hanno più paura, neanche le loro famiglie. Le mamme fanno cintura attorno alle scuole. Gira un video di un padre che salta dentro alla scuola per salvare sua figlia. Se anche l’istruzione deve diventare terrore, allora la misura è davvero colma. L’altro ieri è uscita la notizia di un attacco anche ad una scuola maschile per cercare così di comunicare parità di trattamento. Dicono che “è colpa del nemico”, attribuiscono la responsabilità ad agenti stranieri che vogliono minare la pace del paese, ma chi è il nemico se non lo stesso regime iraniano?”
“Noi iraniani siamo sempre sotto attacco – prosegue Vida – ma siamo anche sempre più consapevoli e coraggiosi e la resistenza cresce di giorno in giorno. La generazione di mia mamma si ricorda degli anni settanta quando portavano le gonne corte ed erano libere. Il figlio dello Scià, Reza Ciro Pahlavi, che vive all’estero, ogni tanto va in Parlamento Europeo e si batte per il suo paese e per i diritti. Sta nascendo una vera forza di opposizione al regime per programmare un futuro per l’Iran insieme a Europa e Stati Uniti”.
Vida ha una forza contagiosa. Vivere e lavorare qui l’aiuta ancora di più perché conosce cosa sia la libertà e questo la spinge nella sua battaglia, che poi è la battaglia di tutti noi. “Vado in giro per le scuole, parlo, partecipo alle manifestazioni e trovo altri amici ed amiche, e mi accorgo che la consapevolezza qui è molto cambiata. Un tempo si parlava della bellezza della Persia, ora si parla della tragedia dell’Iran attuale. E ci si chiede: come mai tutto questo era nascosto? Un tempo anche se eri all’estero e condannavi il regime iraniano finivi nei guai seri, anche in prigione. Ora invece siamo tantissimi e non ci controllano più. Ci sono più di 4 milioni di iraniani all’estero. C’è gente che prova ad uscire facendo richiesta per studio o lavoro. Molti vengono a studiare qui anche a Padova”.
Se si pensa sia una battaglia solo delle donne ci si sbaglia. Vida ci spiega che gli uomini iraniani sono ora a fianco delle donne, e lo sono stati fin quasi da subito. “Senza gli uomini non si sarebbe andati avanti. I padri, i fratelli, i mariti, i compagni sono fondamentali. Ora la battaglia è di tutti. I morti ormai sono più uomini che donne”.
Il 20 marzo sarà il capodanno persiano che coincide con l’equinozio di primavera. E tutti noi speriamo sarà un bel giorno. Il regime è accerchiato ormai. La situazione è drammatica, in questi ultimi 6 mesi il valore della moneta iraniana è arrivato al minimo storico, scendendo per la prima volta a 600.000 riyal per dollaro. Il governo è in ginocchio. I giovani hanno la possibilità di cambiare. Serve che l’occidente non riconosca più il regime iraniano e si allei con l’opposizione internazionale e allora forse tutti insieme potremmo farcela. La determinazione e il coraggio della società civile iraniana non sembrano arrestarsi. Il dissenso non si ferma e la situazione è in evoluzione. Da parte nostra, permane l’obbligo di continuare a denunciare le violenze, ad essere solidali con il loro desiderio di libertà e ad essere la loro voce.