OSTERIA BERTOLIANA. A CENA CON LA TRADIZIONE CULTURALE DELLA NOSTRA VECCHIA CUCINA

Daniele è un rustego sincero. Un uomo grande come la sua passione. Andare a mangiare da lui significa essere un po’ a casa sua, nel suo mondo. Ci sono pochi posti come l’Osteria Bertoliana, e non solo per il menu che è di per se particolarmente originale, ma anche per lo spirito, per l’atmosfera umana.

Piazzetta San Giacomo è nota ai più per essere stata per decenni il luogo dove si trovava il bar “Da Renato” che ha accompagnato generazioni di studenti quando bruciavano scuola al mattino e vi si ritrovavano al pomeriggio. Era una piazzetta sempre viva, con la presenza dei bagni pubblici e un raffinato negozio di abbigliamento. Oggi è il regno di Daniele Renzi e la sua osteria, un avamposto contro l’omologazione.

Daniele apre qui nel 2017 dopo una lunga esperienza dietro ai fuochi. A San Vito di Leguzzano, da dove viene, ma anche a Fara Vicentina, da Penacio e pure all’estero con, tra le altre, un’esperienza di più di un anno in Cina. Però alla fine il richiamo della tradizione ha vinto e l’idea di aprire un ambiente in cui proporre una cucina che molti stanno dimenticando è stata troppo forte.

Perché qua?

“Perché il posto è bellissimo e c’era un’opportunità commerciale. Da subito mi sono innamorato del giardino interno e di questa piazzetta. Poi qui c’è storia. Al tempo della Serenissima il bar da Renato era un casolin di lusso. Qui a fianco c’era Villa Braga Rosa e qui la Corte Sconta. Tutti avevano una vacca e vendevano vino. Mi hanno sempre insegnato che “con un’osteria, ‘na piazza e ‘na cesa, se lavora”. All’inizio mi son detto di provare per mille giorni perché sono il tempo giusto per capire se funziona o no un’attività. In realtà volevo venderlo dopo 3 anni ma adesso non lo vendo più. Adesso proprio no”.

Daniele è viscerale, come la sua cucina. Appassionato di salumi ed esperto massolin, ha lavorato anche con Joe Bastianich a Salt Lake City e dice che “in America funzionava l’autentic restaurant che faceva figo perché vendevi identità”. Quindi perché non farlo qui?

Ci sono molte ricette poco presenti in città come le frittole con la sarda che fanno a San Vito o i gnocchi con la fioretta tipici di Recoaro, che trovate solo da Daniele. E poi altra roba “povera”. Interiora, cervello fritto, cuore, frittata di asiago e cipollotto, che all’inizio i clienti guardavano con sospetto e che ora ordinano tralasciando altre proposte più classiche.

“Mi sento un oste di una volta e per questo motivo mi piace anche offrire cicheti e spritz all’ora dell’aperitivo. Se fai sempre le stesse cose perdi lo spirito. Quel che è bello è far sentire che la tua cucina e la tua proposta sono vive, dinamiche, in movimento. Poi mi piace molto il fatto che i miei prodotti sono esclusivamente vicentini, con pochissime eccezioni veronesi o trevisane. In ogni caso si prova, si cambia, si lavora al meglio, e so sempre che la mia forza sta nei miei limiti”.

Viviamo in un’epoca in cui tornare alla tradizione siginifica uscire dagli schemi; non preoccuparsi della moda o dell’estetica fine a se stessa è controcorrente. Eppure la cucina è veicolo di valori, di storia, di eredità. Nel gusto ritroviamo le nostre stesse origini, le fatiche, le realtà rurali che abbiamo abbandonato, e la povertà, che è un dono da custodire se si vuol capire bene la vita. Mangiare è molto di più che sfamarsi e Daniele lo sa bene.

E’ spesso un “one man chef”, nel senso che capita a volte di trovarlo sia ai fornelli che al bancone che a servirvi a tavola durante lo stesso servizio. Conosce tutti, è persona del popolo, uno che ama anche mangiare “riso olio e limon come in campagna, perché la roba dev’esser nata ben, cressù ben e morta ben.”

Curiosità, ma serve a capire meglio personaggio e locale: Daniele si è pure inventato uno speciale cibo per gatti. A quello che rimane della carne fresca, come cuore o ventricoli, aggiunge carote e gelatina e crea un umido per gatti che poi regala. “Lo faccio per una mia etica, perché amo gli animali, a volte anca de più che i cristiani”.

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