La Fabbrica del Rinascimento, pro e contro di una mostra da vedere.

L’ultimo dell’anno sono andato a visitare la mostra in Basilica Palladiana “La Fabbrica del Rinascimento – Processi creativi, mercato e produzione a Vicenza”. Una precisazione, questo giornale, non ha dato alcun taglio propagandistico alla mostra, esaltandone gli aspetti positivi e negativi, ovvero consentendo ad amministrazione comunale ed organizzatori di ribattere punto per punto le criticità qui rilevate.

Questo atteggiamento verso il fare cultura si chiama libertà d’informazione, principio cardine della nostra democrazia e alla quale mi auguro che questo giovane giornale possa sempre ispirarsi: chapeau!

Premesso questo breve inciso, lasciate ora che anche un giovane vicentino, ovvero il sottoscritto, provi a dare la propria idea sulla c.d. Grande Mostra in Basilica.

Innanzitutto: la mostra merita di essere vista!

Il concept espositivo è molto suggestivo e la passeggiata tra le opere si snoda in maniera intuitiva. L’interno della Basilica, sapientemente restaurato, rappresenta sempre un luogo meraviglioso che tutti i Vicentini di tanto in tanto dovrebbero frequentare.

Passiamo ora all’idea che sta alla base della mostra: davvero interessante. Di rado, nelle città di provincia, si ha il coraggio di puntare su una mostra che non mette al centro il singolo artista, ma un’intera epoca.

La mostra punta ad illustrare un periodo del quale Vicenza è stata interprete rappresentando ai visitatori gli artisti Palladio, Veronese, Da Ponte e Vittoria che nel ‘500 collaboravano nel capoluogo Berico in un clima di grande fermento artistico, economico e sociale.

Il progetto è davvero ambizioso e non manca certo di idee innovative come quella di dare un valore alle opere ponendo come termine di comparazione il costo di un maiale.

Con riguardo alle opere esposte iniziano, però, alcune note dolenti. Di ogni autore mancano, infatti, le opere principali. Non volevamo certo le Nozze di Cana di Veronese, ma così è un po’ poco.

A questo tema è ricollegata dunque la seconda nota dolente: il prezzo della mostra che risulta evidentemente alto e forse non congruo al tipo di esposizione. Pensare che una giovane coppia di universitari di Vicenza possa visitare la mostra spendendo 22euro (il costo del biglietto ridotto è di 11euro) è davvero un sogno quasi irrealizzabile.

Si pensi che una visita alle Gallerie dell’Accademia a Venezia, che certo sui pittori rinascimentali veneti vanta la più importante testimonianza mondiale, sempre per due universitari, costerebbe solo 4 euro (il costo del prezzo ridotto è infatti di 2 euro)

Infine, un appunto divulgativo relativo all’uso dei maiali come termine di paragone per comprendere il prezzo attuale di un’opera d’arte. Il prezzo di un bene è dato dalla sua utilità e dal rapporto tra domanda e offerta. Evidente infatti che durante il rinascimento il valore relativo di un maiale non poteva essere lo stesso di un maiale di oggi e di conseguenza l’equivalenza conduca a delle evidenti distorsioni.

Per capire il rischio di una simile operazione si consideri che durante i primi del ‘500 infatti, un paio di calzari di pelle costavano all’incirca 10 ducati (1240 soldi), ovvero 35grammi d’oro.

Considerando che 25 soldi era il compenso giornaliero di un capomastro, lo stesso doveva lavorare circa 50 giorni, ovvero quasi due mesi e mezzo per comprare un paio di calzari. Considerando lo stipendio medio di un attuale capocantiere intorno ai 2000 euro al mese è come se oggi un paio di stivali costassero all’incirca 5000euro.

Allo stesso modo un libro costava circa 20 soldi, ovvero poco meno dello stipendio giornaliero di un capomastro: come se oggi un romanzo in edizione economica costasse circa 100euro.

In questo senso sarebbe tornato utile aggiungere un tertium comparationis, come delle monete d’oro o le ore lavoro, così da poter meglio apprezzare i dati esposti che così esposti non risultano di immediata intuizione.

Rimane l’interesse per l’affascinante tentativo di dare un “costo di vendita” alle opere, come riportato nella brochure della mostra, ma certo in assenza di una congrua spiegazione il paragone non risulta di agevole comprensione.

In definitiva, mettendo sul piatto della bilancia i pro e i contro de “La Fabbrica del Rinascimento” il risultato è un seppur tiepido giudizio positivo. Considerazione che certo potrebbe migliorare qualora alcuni errori, banali, come prezzo d’ingresso e scarse spiegazioni, fossero rimossi nei prossimi mesi.

Insomma, il margine di miglioramento per questa mostra e per le prossime è davvero molto. Il tentativo di creare un nuovo e coraggioso modo di fare mostre a Vicenza è certo lodevole. Ora la sfida è perfezionare le modalità di realizzazione in modo da dare giusta dignità all’eccellente idea.

Aprile 2024

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