Dalla storia abbiamo imparato che le “colonie” nell’antichità erano un insieme di cittadini di uno Stato che si stabilivano in una terra lontana per abitarla, coltivarla e imporre regole e abitudini della madrepatria, con la quale conservavano legami giuridici ed economici. Ricordiamo le polis della Magna Grecia e in Italia le colonie romane disseminate nei territori italiani lontani dall’Urbe.
In età moderna, la “colonia” è il possedimento di uno Stato Europeo, un territorio lontano e abitato da popolazioni indigene, spesso economicamente svantaggiate, che non godono degli stessi diritti civili dei gruppi di persone che vengono dallo Stato dominante.
Ci sono altri modi poi per declinare il termine “colonia”: si pensi agli istituti che fornivano ai bambini meno abbienti soggiorni di villeggiatura o di cura. In biologia, infine, una “colonia” è un aggregato di individui vegetali o animali.
Ma oggi sembra si debba usare il termine “colonia” anche per indicare una possibile soluzione all’immigrazione clandestina.
Ovvero si trova un luogo, lontano dai confini nazionali e comunque fuori dalle frontiere della UE, dove trasferire chi arriva in modo irregolare o clandestinamente da un Paese extra europeo, così da avere mani libere per rimandarlo al Paese di origine, con il pregiudizio di base che, siccome non è arrivato in aereo o in nave, ma su un barcone, è potenzialmente una persona da tenere alla larga.
I Paesi europei, a partire dagli anni sessanta dell’800, cominciarono a cercare sbocchi nei mercati extra europei per risolvere il problema della propria sovraproduzione in cambio di materie prime. Nasceva così il colonialismo moderno trasformatosi poi in imperialismo perché quelle colonie furono conquistate anche militarmente diventando domini extraeuropei a tutti gli effetti. Solo dopo la seconda guerra mondiale quei Paesi si riappropriarono della loro indipendenza, ma gli effetti dell’imperialismo occidentale lasciarono eredità che oggi tutto il mondo paga. Un esempio per tutti, si consideri quanto accade in Medio Oriente. Ricordiamo anche le tante guerre fra etnie che sconvolgono l’Africa.
Registriamo una nuova forma di colonialismo, chiamiamolo di ritorno. In Europa non riusciamo a regolare i flussi migratori, creiamo hub, colonie temporanee lontane, in territori di stati amici. In Ruanda, in Uganda in Albania…
Una forma di oppressione umana, una vera follia economica. Trasportiamo in questi luoghi, come merce, chi fugge dalla fame, dalla sete, dalle emergenze climatiche, dalla paura per regimi dittatoriali, dalla guerra per non vederli, per far credere alla gente di aver risolto il problema migratorio.
Senza capire che andando avanti di questo passo tra guerre ed emergenze climatiche, sempre più persone fuggiranno dai luoghi insicuri, dalla guerra e dalla fame. E se non vogliamo vivere drammi sociali ed economici più gravi è necessario mettersi intorno ad un tavolo (che ci sarebbe, se funzionasse: si chiama ONU) e confrontarsi senza la presunzione di voler apparire i più bravi, i più decisi o i più furbi.
La storia dell’umanità è storia di migrazioni. Controllare e regolare gli spostamenti di persone da luoghi dove non si può vivere verso terre più fortunate climaticamente o più ricche dovrebbe diventare un’opportunità di crescita e di cambiamento, altrimenti in futuro i libri di storia parleranno di invasioni barbariche e di periodi bui. O potranno raccontare di un mondo occidentale in preda ad una grave crisi demografica che ha accolto ed integrato segnando, a suo favore, una svolta travolgente, anzi rivoluzionaria.
Il Fallimento della Legge 180: un’ombra sulla Psichiatria Italiana
Riceviamo e pubblichiamo da https://www.sospsiche.it A più di quarantacinque anni dalla sua approvazione, la legge 180 del 1978, meglio conosciuta