Entra in scena Palazzo Thiene. Gli spazi ipogei del palazzo sono un luogo stupendo e ricco di un fascino inalterato nei secoli. Solo poterci accedere è già una sorta di regalo, ma la sorpresa vera è che il suono è anche ottimo. Vicenza soffre di una mancanza cronica di spazi. Il dibattito è sempre più attuale ed è impossibile come non notare che, teatri a parte, ci siano pochissime location per musica e arti performative in generale. Cinema che chiudono ora o che sono chiusi da anni, altri spazi come l’ex Banca d’Italia o i tanti negozi sfitti possono diventare (anche magari temporaneamente) opportunità per rassegne come questa. Ma qui il discorso si farebbe molto ampio e forse pure noioso. Di fatto, ieri, la rassegna dedicata ai giovani musicisti di jazz, che nasce dalla collaborazione con l’associazione culturale Bacàn è iniziata proprio a Palazzo Thiene. Ed è iniziata con un concerto splendido quanto originale. “Si arrabbieranno un po’ i fedeli del mainstream” ha detto Riccardo Brazzale presentando il progetto “COHORS” della cantante e compositrice Valentina Fin. Formazione molto particolare che vede Federico Pierantoni al trombone, Marcello Abate alla chitarra, Luca Cescotti alla viola da gamba, Marco Centasso al contrabbasso e Marco Luparia alle percussioni. Soffermiamoci un attimo su Cescotti. Di lui abbiamo scritto ancora un anno fa presentando il suo disco “Amarsi bene”. Si tratta di un cantautore molto raffinato che sposa una certa idea di folk contaminato. La presenza della sua viola da gamba nell’ensemble di Valentina Fin salta subito all’occhio e determina in maniera importante la matrice barocca di questo progetto. Cornice migliore di questa non poteva esserci per ascoltare le composizioni di Fin e di questo suo gruppo. Uno dei brani presenti nell’ultimo disco di Fin si chiama “Quasi un madrigale” e il titolo spiega perfettamente quello che abbiamo sentito ieri pomeriggio. La voce nitida, ampia, pulita di Valentina canta melodie che riportano nel ‘600 cortigiano ed a una forma canzone basata sulla ballata. La band però accompagna la leader proponendo un folk jazz che non è calligraficamente vicino ad esperienze passate molto note tipo Pentangle ma si sbilancia molto sull’improvvisazione.
Il meglio sono i momenti di apparente caos primordiale in cui Valentina dirige strumento per strumento fino ad un placarsi in un bordone appena screziato da una chitarra acida e metallica dove si posa la voce della Fin sempre più in una terra di nessuno dove il madrigale e il canto folk scolorano assieme in voluttà d’autore lasciando al trombone il cesello caldo finale.
Il tempo di lasciar finire i molti applausi e si va al Bamburger per un aperitivo. Alla consolle c’è Angelo Tonin, in arte Chemikangelo Dj che propone “un eclettico viaggio sonoro nel Jazz del passato, presente, futuro”. Non sembri cosa facile e scontata inserire in un programma un dj set. Angelo è uno dei top della provincia e la sua ricerca (soprattutto nel dub) è profonda e di rara competenza. I dj dei locali si dividono in quelli che dicono “stasera suono al..” e quelli che invece, più seriamente, selezionano musiche non banali, studiano e poi oltre a questo sono pure capaci di mixare che non guasta. I dischi che propone Chemikangelo, non li sentirete di certo facilmente altrove e anche al Bamburger si è confermato come padrone del ritmo.
Alle 21 uno degli eventi più attesi di tutto il festival, ovvero il quartetto del norvegese Jan Garbarek con il maestro Trilok Gurtu alle percussioni. Il sax di Garbarek è un mondo tutto suo. Innodico, etereo, lirico, meditativo come molta musica scandinava e come molta arte presente nel catalogo ECM. Ma la presenza di Gurtu offre l’opportunità per un cambio di marcia. Spezza i ritmi, entra rumoristicamente in momenti melodici, crea tappeti di tablas che spostano molto ad oriente il nordismo di Garbarek e così facendo spinge tutta la band a suonare su un limite non prestabilito.
Quasi due ore di concerto. Grande spazio ai musicisti (tre assoli da cinque minuti e più) che ha prodotto un effetto strano: la qualità enorme di basso e pianoforte, per non parlare del settantunenne dietro alle pelli, hanno paradossalmente messo in ombra Garbarek.
Con la musica si può viaggiare rimanendo fermi. Con la musica contemporanea e colta capita anche spesso. Quando hai questi livelli di profondità ti ritrovi tra jazz, classica, ambient, melodie scandinave e world music e alla fine sei quasi stremato. Non abbastanza comunque per concludere la giornata al Jazz Cafe Trivellato dove trovi la UNLV Joe Williams Honors Trio, formazione che raccoglie studenti e docenti del dipartimento jazz dell’Università del Nevada, tra i quali spiccano il pianista Dave Loeb e il sassofonista baritono Adam Schroeder.
Il set prevede un’ora buona di swing, bebop, cool jazz e fusion e scalda quel tanto che basta per tornare a casa felici. La giornata è stata un giro del mondo, anzi di più mondi e di più epoche. Il barocco rivisto, il folk, la club music, i paesi nordici e i ritmi tribali e infine questa band bellissima che nasce come scuola e come tale propone un repertorio altamente divulgativo con una sezione fiati da big orchestra. Nuovi mondi sono possibili, nuovi mondi sono già visibili, nuovi spazi sono a disposizone, a noi capirlo.