La questione della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri (PM) rappresenta uno dei temi più dibattuti nel panorama giuridico italiano, con implicazioni che vanno oltre la semplice organizzazione del sistema giudiziario, toccando principi fondamentali come l’indipendenza della magistratura, l’equilibrio tra poteri dello Stato e la percezione di giustizia da parte dei cittadini. Il dibattito si articola attorno a due posizioni contrapposte: da un lato, coloro che vedono nella separazione delle carriere un’evoluzione necessaria per garantire l’imparzialità del giudice e l’efficienza del processo penale, dall’altro, chi teme che tale riforma possa indebolire il pubblico ministero e renderlo più vulnerabile alle pressioni politiche, mettendo a rischio il principio di obbligatorietà dell’azione penale. Attualmente, in Italia, giudici e PM appartengono allo stesso corpo della magistratura, accedendo attraverso un concorso unico, seguendo un percorso formativo comune e condividendo le stesse garanzie di indipendenza. Questo modello, voluto dai padri costituenti per evitare ingerenze del potere esecutivo sulla giustizia, è considerato dai suoi sostenitori una garanzia di equilibrio e autonomia. Tuttavia, i fautori della riforma sottolineano che questa commistione può creare un conflitto di interessi implicito, in particolare nei tribunali di piccole dimensioni, dove magistrati che hanno lavorato fianco a fianco possono trovarsi in posizioni opposte nel processo. Secondo questa visione, la separazione delle carriere rafforzerebbe la neutralità del giudice, eliminando ogni dubbio sulla sua equidistanza tra accusa e difesa.
Excursus storico-normativo
La figura del pubblico ministero e la sua collocazione all’interno dell’ordinamento giuridico italiano hanno subito numerose trasformazioni nel tempo. Con la Costituzione del 1948, l’Italia ha adottato un modello in cui il PM gode delle stesse garanzie di indipendenza dei giudici e non è sottoposto all’esecutivo, a differenza di altri ordinamenti europei. L’art. 107 della Costituzione prevede infatti che i magistrati siano inamovibili, e l’art. 112 sancisce il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale.
Tuttavia, nel corso degli anni, si sono susseguite diverse proposte di riforma per introdurre una separazione più netta tra la funzione giudicante e quella requirente. La riforma del CSM del 2002 ha previsto un numero separato di componenti eletti per giudici e PM, ma senza arrivare a una vera e propria distinzione delle carriere. La riforma Cartabia del 2022 ha introdotto ulteriori modifiche, aumentando la distanza tra le due funzioni, ma senza sancire una separazione definitiva.

Il disegno di legge del governo Meloni sulla separazione delle carriere
Nel gennaio 2025, la Camera dei Deputati ha approvato un disegno di legge proposto dal governo Meloni che introduce una riforma radicale della magistratura, prevedendo la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. La proposta, che ora passa all’esame del Senato, prevede:
- Concorso separato per giudici e PM: I magistrati non entreranno più con un unico concorso, ma dovranno scegliere sin dall’inizio se intraprendere la carriera giudicante o quella requirente.
- Due Consigli Superiori separati: Saranno istituiti due organi distinti per la gestione delle carriere, uno per i giudici e uno per i PM, al fine di garantire una maggiore autonomia.
- Organizzazione gerarchica del PM: Il pubblico ministero risponderà a un nuovo assetto gerarchico che, secondo i critici, potrebbe renderlo più esposto a influenze politiche.
- Mantenimento dell’obbligatorietà dell’azione penale, ma con criteri di priorità stabiliti dal Parlamento e non più rimessi alla discrezione della magistratura.
Questa riforma ha acceso il dibattito politico e istituzionale. Da un lato, i sostenitori sostengono che essa renderà la giustizia più trasparente e allineata agli standard europei, evitando possibili conflitti di interesse tra accusa e giudizio. Dall’altro, gli oppositori temono che possa ridurre l’autonomia del PM e aumentare l’influenza dell’esecutivo sulle inchieste, compromettendo il principio di indipendenza della magistratura. Il dibattito sulla separazione delle carriere si muove su un terreno complesso, in cui si intrecciano esigenze di imparzialità, efficienza e indipendenza della magistratura. Se da un lato la riforma mira a rafforzare la percezione di neutralità del giudice e a modernizzare il sistema, dall’altro rischia di alterare l’equilibrio tra accusa e giudizio, compromettendo l’autonomia del pubblico ministero e rendendo il processo penale più punitivo. La questione rimane aperta e destinata a influenzare il futuro della giustizia italiana, con conseguenze profonde sulla tutela dei diritti e sulle garanzie per i cittadini.
PRO/VERSI Opinioni a confronto










