Il Monte di Pietà fu un’istituzione creata nella seconda metà del 400 dai francescani, per arginare il fenomeno dell’usura. La ragione principale che portò alla nascita dei Monti di pietà era di tipo solidaristico, non primariamente economico: data l’impossibilità per le famiglie meno abbienti di avere accesso al credito ad un equo tasso d’interesse, e per questo costrette a rivolgersi agli usurai (cristiani o ebrei) e quindi precipitare in miseria, i francescani della riforma, molto attenti agli aspetti concreti dell’evangelizzazione, promossero queste istituzioni come mezzo di “cura” della povertà e di lotta all’usura. A Vicenza fu Marco da Montegallo (poi Beato) il fondatore del Monte, i cui statuti furono approvati nel 1486. Si tratta del primo istituito nel territorio della Repubblica di Venezia. Come era avvenuto per tutti gli altri, anche il Monte di Vicenza fu concepito come gratuito e destinato a sovvenzionare, con prestiti pignoratizi della durata di sei mesi per un massimo di tre denari, le famiglie bisognose. In città, non molti conoscono a fondo questa storia e non molti purtroppo frequentano gli spazi del monte. Tra questi, spicca per bellezza e spiritualità, la chiesa di San Vincenzo, che sabato sera primo febbraio è diventata teatro di un concerto solo sulla carta diacronico con il luogo.

Il tentativo del presidente della Fondazione Monte di Pietà Giovanni Diamanti e del direttore artistico Filippo Furlan, era quello di creare un dialogo sensoriale tra musica elettronica contemporanea e il raccoglimento intimo e la ponderazione che la chiesa spinge a vivere, permeata com’è da una magia e un intimismo profondi. Il risultato è stato un grande successo e non solo per la quantità di pubblico che ha fatto fatica alla fine a riuscire ad essere contenuto, stipando il posto fino ad esaurimento. L’esperimento, se così si poteva chiamare, è riuscito perché la scelta di chiamare due artisti come Enrico Coniglio e Giulio Aldinucci è stata calibrata e non estrema e ben adatta ad un progetto che fin dal titolo “Mystica Electrica” voleva chiaramente puntare sull’unione tra significati. Più classicamente ambient il set di Coniglio, che ha ricordato i “soundscapes” di Robert Fripp, mentre più abrasiva e magmatica la proposta di Aldinucci, sebbene i due artisti siano stati alla fine assolutamente complementari.
Quando più di 200 persone riempiono una chiesa-scrigno un sabato sera per un percorso sonoro non abituale e lo fanno per altro con entusiasmo che si percepiva dal silenzio, dall’attenzione e dal convinto applauso finale, non si può che essere felici. Pubblico molto eterogeneo e non, come ci si poteva attendere, prettamente giovane. I semi vanno piantati. La città ne ha bisogno. In questo, il lavoro della Fondazione Monte di Pietà è prezioso.