Non so in quanti teatri e luoghi pubblici si sia suonato il Quatour durante il giorno della memoria, ma presumo in moltissimi. Questo sebbene la straziante, sublime composizione del compositore francese non sia “solo” un’opera che riflette la mostruosità della shoah. Se volessimo cercare una musica scritta appositamente per descrivere l’olocausto ci verrebbe in mente probabilmente Kristallnacht di John Zorn, che descrive con un jazz noise d’avanguardia pieno di effettistica e richiami di melodie popolari ebraiche, la notte dei cristalli del 9 novembre 1938. Ma se anche il quartetto di Messiaen non è propriamente musica a programma, è indubbio che per emozione, tematica e storia particolare, sia non solo una delle pagine che meglio descrive quell’immane tragedia ma anche uno dei capolavori massimi di tutto il novecento. Ad ogni ascolto, seppur l’ennesimo, è impossibile non immedesimarsi con gli interpreti originali e con chi ascoltò per la prima volta questa musica sublime la gelida sera di mercoledì 15 gennaio 1941, nella baracca 27 del campo di prigionia Stalag di Görlitz, in Slesia. Il richiamato alle armi Olivier Messiaen venne internato nello Stalag nel giugno del 1940. Con lui vennero catturati l’allora violoncellista Etienne Pasquier e il clarinettista Henry Akoka. Poco dopo i tre incontrarono il giovane violinista Jean Le Boulaire. Messiaen era in ogni caso il più famoso dei quattro musicisti prigionieri ed è a lui che è commissionata la composizione di una musica per “allietare” il campo. Messiaen a quel punto fa di necessità virtù e per i compagni di prigionia compone dapprima un Trio e quindi, pensando all’aggiunta di se stesso come pianista, il Quatuor pour la fin du Temps. Gli spettatori di quella storica “prima” furono quasi 5 mila. «Mai – ricorderà più tardi Messiaen – ho avuto ascoltatori più attenti e comprensivi”.

L’ispirazione è teologica, come in gran parte dei lavori di Messiaen. Per l’esattezza la fine del tempo è quella dell’Apocalisse di San Giovanni. Anni dopo, ricordando le parole pronunciate davanti ai compagni di prigionia la sera della prima esecuzione, il compositore rivelerà: “Innanzitutto ho detto loro che il Quartetto era scritto per la fine del tempo, senza alcun gioco di parole con il tempo della prigionia, ma in relazione alla fine delle nozioni di passato e di avvenire, ovvero con l’inizio dell’eternità”. I temi di tutta l’esistenza e l’opera del grande compositore, si trovano tutti e chiari. La fede appunto, il mistico, il silenzio, la natura (l’ornitologia) e i significati spirituali o simbolici, spesso legati alle visioni apocalittiche o alla contemplazione dell’eternità e dell’immortalità. L’opera è divisa in 8 movimenti quasi tutti lenti e strazianti con lunghe melodie, scale modali e tecniche di glissando. Tutto a cercare di uscire dal concetto di tempo classico. Ancora oggi, immaginare dove e come sia stata composta, mette i brividi.

E sono stati brividi veri quelli sentiti la sera della giornata della memoria al Teatro Comunale di Vicenza grazie all’interpretazione del Quatour da parte del Quartetto Klimt con l’aggiunta di Calogero Palermi al clarino. E proprio Palermo ha impressionato e commosso soprattutto durante il terzo movimento, “Abîme des oiseaux”, un lungo assolo che esplora diverse tecniche di suono, tra cui glissandi, trilli, e staccati e riflette la solitudine e l’abisso, con il clarinetto che rappresenta l’uccello solitario. Ma lancinante è stato anche il quinto movimento, con quel duetto tra violoncello e pianoforte, dove il violoncello suona una melodia estatica e il pianoforte accompagna con accordi lenti e profondi. E il finale affidato al violino con una melodia lunga e meditativa che culmina in una sensazione di pace e serenità caratterizzata da un uso estensivo delle armonie modali di Messiaen. Tre quarti d’ora, poco più, di assoluta, devastante bellezza dolorosa. Un concerto che avrebbe meritato molto più pubblico di quello presente.

P.S.
Messiaen e Pasquier verranno liberati nel febbraio 1941, in quanto ritenuti “soldati musicisti”. Uomini, cioè, chiamati alle armi per suonare nelle bande militari più che per combattere. Qualifica non riconosciuta a Le Boulaire – non era noto come Messiaen e Pasquier, non poteva dimostrare di svolgere un’attività di musicista professionista come Akoka – che dovette attendere ancora qualche mese. Anche Akoka era pronto a saltare sul camion che avrebbe riportato in Francia i “soldats musicien”, ma all’ultimo istante un ufficiale tedesco gli intimò di scendere. Alla sua meraviglia, il militare rispose: “Ebreo”. Akoka e Le Boulaire riuscirono a salvarsi. I quattro primi interpreti del Quartetto non si rivedranno più.