FANTOZZI. UNA TRAGEDIA CHE SI RINNOVA.

Chi è Fantozzi oggi? Non chi o cos’è fantozziano, che quello è un altro discorso. Essere fantozziano ha a che fare con il surreale, la sfiga, il grottesco del vivere. Ma lui, il ragioniere, quello che subisce e vive una vita da impiegato alienato, chi è oggi? Negli anni settanta in Fantozzi convivevano il comico e il tragico della piccola borghesia italiana. La classe media impiegatizia era (soprattutto nel caso di Fantozzi) tenuta a un atteggiamento servile nei confronti dei superiori, dentro a quella megaditta che simboleggiava l’apparato burocratico-amministrativo degli imperi industriali figli del boom degli anni cinquanta. Paolo Villaggio nei suoi libri (il primo romanzo è del ’71 e il secondo del ’74) descrive l’impiegato mediamente istruito e mediamente stipendiato che rappresenta un minuscolo tassello della ciclopica macchina burocratica che fa da supporto al mondo industriale. I vari Fantozzi italiani sono i piccolo-borghesi conservatori che negli anni della contestazione temevano il disordine e la conflittualità endemica provocati dalle rivolte; essi si rifugiavano sotto l’ala protettiva della dirigenza e sceglievano di difendere il diritto del padrone conoscendo i benefici di questa condizione, primo su tutti la stabilità, che si configurava come possibilità di avere un pasto caldo, un tetto sulla testa, una settimana di vacanza a Riccione, un’utilitaria Fiat in garage e un abito delle grandi occasioni dentro l’armadio. Un conformista, per dirla alla Gaber, che nel caso di Ugo Fantozzi è vittima e mai vincitore, non riesce nemmeno infatti a godersi i vantaggi della mediocrità, della falsità e del lecchinaggio, come capita ai Calboni di tutto il mondo. Ecco perché nessuno riesce a criticarlo in fondo. In lui non si vedono i difetti che vediamo nei suoi colleghi, nel mondo che lo circonda. Il geometra Calboni suscita risate ma non compassione. Filini è l’irritante amico che però tradirebbe pure la madre pur di salvarsi. Fantozzi alla fine si fa voler bene perché lui, a differenza degli altri, sa di essere sconfitto, sa di essere abbandonato a se stesso dai partiti, strumentalizzato dai sindacati, snobbato dagli intellettuali. Fantozzi è l’antagonista solitario, votato alla disfatta sempre e comunque.

Nello spettacolo “Fantozzi, una tragedia” andato in scena per due sere al Teatro Comunale di Vicenza, queste riflessioni vengono a galla di rimando, non direttamente. La debolezza della riduzione dei testi di Villaggio sta paradossalmente nell’averli portati fedelmente in scena. Chi conosce Fantozzi (e chi non conosce Fantozzi?) trova poco più che una rappresentazione fumettistica di scene che si sanno a memoria. L’effetto “Bagaglino” è pericolosamente in agguato. Ed è un peccato perché Gianni Fantoni (che ha fortemente voluto il progetto) è un perfetto ragionier Ugo Fantozzi, in tutto e per tutto, e il cast di 8 persone è funzionale ancorché cade sull’effetto slapstick mentre i personaggi originali erano coprotagonisti delle avventure fantozziane e lo erano proprio per evidenziare l’aspetto sociologico dell’investigazione di Villaggio. La produzione in ogni caso è importante, la regia di Davide Livermore è di quelle da primissima categoria, la scenografia pare non esserci ma al tempo stesso è fondamentale nell’uso della “finestra” sul mondo fantozziano. Già perché alla fine è tutto un viaggio mèta onirico nel corpo (anche fisico) del protagonista e questo è senza dubbio un punto di forza dello spettacolo. Così come certe idee che, seppur a rischio didascalismo, centrano l’obiettivo, come i personaggi che diventano le palle da biliardo nell’epica partita con il cav. conte Catellani, rappresentando quindi l’essere tutti parte dello stesso misero e infelice gioco di potere che pervade potenti e sottoposti. Anche le “note a piè di pagina viventi” sono un divertissement riuscito. Ma il vero applauso arriva giusto alla fine (a proposito, troppo lungo il tutto) quando Fantoni/Fantozzi risponde a suo modo alla domanda che ci ponevamo ad inizio articolo, ovvero: “Chi è Fantozzi oggi?”. E in maniera chiara improvvisamente pare evidente che oggi, l’omino tondo con i mutandoni ascellari sposato a quello strano animale domestico, sarebbe un privilegiato. Posto fisso, ascensore sociale sebbene seppur minimo ma pur sempre in movimento, famiglia che riesce a mantenere, vacanze e hobby, e una pittoresca ma rassicurante vita sociale in un microcosmo di organizzatissimo collettivismo ideale. La differenza è che nei libri e nei film di Villaggio il dramma usciva prepotente, mentre oggi il “posto fisso” portato al trionfo da Checco Zalone è l’esaltazione autoassolta di quella mediocre italietta da cinepattone. Ai tempi di Fantozzi, si rideva con un’altra coscienza. E questo non sarà mai un argomento definibile come “una cagata pazzesca”.

Febbraio 2025

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