“Overload”: portare in scena la modernità

Nello splendido Teatro Civico di Schio è arrivato l’acclamato e pluripremiato spettacolo di Sotterraneo che dal 2017 riempie i teatri portando in scena il sovraccarico dei tempi moderni. Il troppo, la mancanza di attenzione, la perdita di “qui ed ora”, l’impossibile concentrazione nell’epoca del bombardamento d’informazioni, spesso inutili. 70 minuti di surrealtà, di racconto anche cinico e spietato, di cosa siamo diventati anche per colpa delle nuove tecnologie. Teatro sperimentale come dovrebbe esserlo negli anni ’20. Si parte dal concetto base della soglia di attenzione che col tempo si è abbassata sempre di più. In scena gli attori offrono continuamente collegamenti a contributi nascosti che il pubblico può attivare semplicemente alzandosi in piedi, perdendosi così in un intreccio di distrazioni che distolgono fin troppo spesso e fin troppo facilmente dai concetti più importanti della nostra società. Concetti che sono impersonificati da David Foster Wallace che tenta invano di raccontare una sua giornata e i pensieri di quel giorno che poi si rivela essere l’ultimo della sua vita, conclusasi con il suicidio. Questa sarebbe la trama. Sarebbe. Perché descrivere Overload a chi non l’ha visto è quasi impossibile.

Al Kenyon College, nel 2005, David Foster Wallace tenne un discorso che fu poi definito “sulla consapevolezza”. Iniziava così: “Ci sono due giovani pesci che nuotano e, a un certo punto, incontrano un pesce anziano, che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: «Salve, ragazzi. Com’è l’acqua?». I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: «Che cavolo è l’acqua?»”. L’analisi che David Foster Wallace fa della cultura occidentale è quella di essere dominata da una vuota comunicazione di massa, che spossessa di sé le persone. La soluzione per lui stava nella cultura, che può offrirci un’alternativa. Il fatto è che ormai agiamo secondo precisi schemi di cui, per la maggior parte delle volte, non ce ne rendiamo neanche conto. Le nostre azioni sono determinate in base a una fitta rete di relazioni sociali. L’individuo medio è in balia di ciò che lo circonda. Perde il controllo di sé stesso. Overload inizia con un attore (Claudio Cirri) che veste i panni (letteralmente) dello scrittore scomparso e inizia a raccontare una giornata di settembre come tante, che alla fine poi tale non è. Il suo discorso, da quel momento, sarà costantemente interrotto. Da un giocatore di football americano che lo placca, da una tempesta, da inviati televisivi, da giocatrici di tennis (l’amato tennis di Foster Wallace), da sesso virtuale, da soldati romani, da balli con il pubblico, da un nuotatore che si tuffa in platea, da tutto quello che può distrarre e sovraccaricare il presente.

Nella “Conversazione continuamente interrotta” di Ennio Flaiano, tre intellettuali si ritrovano per stendere insieme una sceneggiatura. La stesura procede con fatica e stancamente e diventa il pretesto per affrontare uno dopo l’altro nevrosi e dubbi personali in maniera distratta e incompleta, con risultati grotteschi. Il grandissimo scrittore abruzzese aveva messo in scena allora (siamo ad inizio anni ’70) l’impossibile distacco dell’intellettuale da quello che consumisticamente lo circondava e dai suoi intimi anfratti irrisolti, coltivando comunque una speranza radicata di civilizzazione nella stupidità dei conflitti e delle contraddizioni che dominano l’umanità. Quel che Sotterraneo mette in scena, con un concept collettivo, la scrittura di Daniele Villa e un superbo cast composto da Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati e Giulio Santolini, è un mix di alienazione inconsapevole dell’uomo nell’era social e la teoria dell’avvento della società liquida di Zygmunt Bauman.

Overload è un vortice indicibile di trovate, assonanze, richiami, veri e proprio colpi di genio, portato in scena da una compagnia affiatatissima e meravigliosa da seguire sul palco, fino ad un finale inatteso e quasi feroce. Per quanto riguarda il discorso di Foster Wallace al Kenyon College, finiva così: “La Verità con la V maiuscola riguarda la vita prima della morte. Riguarda il fatto di toccare i trenta, magari i cinquanta, senza il desiderio di spararvi un colpo in testa. Riguarda il valore vero della vera cultura, dove voti e titoli di studio non c’entrano, c’entra solo la consapevolezza pura e semplice: la consapevolezza di ciò che è così reale ed essenziale, così nascosto in bella vista sotto gli occhi di tutti, da costringerci a ricordare di continuo a noi stessi: «Questa è l’acqua. Questa è l’acqua. Dietro questi eschimesi c’è molto più di quello che sembra». Farlo, vivere in modo consapevole, adulto, giorno dopo giorno, è di una difficoltà inimmaginabile. E questo dimostra la verità di un altro cliché: la vostra cultura è realmente il lavoro di una vita, e comincia… adesso. Augurarvi buona fortuna sarebbe troppo poco”.

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