LUCA BIZZARRI E I POLITICI SENZA AMICI

“Non hanno un amico” si chiama lo spettacolo di Luca Bizzarri che è arrivato al teatro Astra di Schio lo scorso 14 novembre. Spettacolo che nasce da un libro che a sua volta nasce da un podcast, tutti con lo stesso titolo. A non avere amici sono i politici di casa nostra, sempre più imbarazzanti e impresentabili, che se avessero un amico, dice Bizzarri, magari potrebbero riflettere prima di parlare. E invece no. Il comico genovese è un caso piuttosto originale nel panorama della satira italiana. Come lui tende a sottolineare, fa parte di una categoria non assimilabile ai classici “comici di sinistra” e spesso in pubblico ricorda di aver votato partiti di area liberale (alle ultime elezioni il fu Terzo Polo ad esempio) e quindi i suoi strali sono in un certo senso più coerentemente rivolti a tutti. Anche all’ex amico Calenda, che un giorno, pochi anni fa, gli diede addirittura il ruolo di social media manager (per un giorno appunto) ma che poi si offese per qualche battuta di troppo e lo bloccò sui social. Roba da bambini dell’asilo pensate voi? Beh, lo pensa anche Bizzarri.

Per un comico la recente classe politica è una manna e al contempo un problema importante. I politici son diventati personaggi che ci intrattengono e allora Bizzarri si chiede: “quindi il comico che lavoro fa? Se fanno ridere loro noi cosa facciamo? Qui sta la fine del mio mestiere”. Da solo sul palco, senza nessun orpello, per un’ora e venti Luca Bizzarri ha rappresentato sé stesso, un uomo che si chiede come sia possibile essere arrivati a questo punto, che si pone di fronte alla decadenza come un antropologo disilluso. “I politici di adesso li adoro, anche se mi tolgono lavoro – dice – ma Donzelli, Vannacci, Sangiuliano, io non pensavo potessero esistere. Salvini poi ogni volta che parla sembra lo faccia apposta per essere preso in giro”. Quel che è certo e che aleggia nella sala dell’Astra di Schio è che viviamo un momento surreale. Berlusconi, ad esempio, ha avuto amici? Per Bizzarri mai. “A me quando lo vedevo negli ultimi anni faceva una gran tenerezza perché si capiva che non aveva un amico vicino che pensasse al suo bene. Avrei voluto essere io quell’amico e gli avrei detto: Silvio, ti voglio bene ma adesso basta”.

C’è poi il politicamente corretto, altro tema del presente, quel rispetto verso tutti, nel quale si evita ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone al punto da non poter più dire quasi nulla. Bizzarri porta l’esempio di Maddalena, la sua nipotina di 7 anni, che gli racconta una barzelletta su un femminicidio causando lo sgomento di tutti i presenti. “Ma noi da bambini cosa facevamo? Avevamo barzellette sui gay, su Hitler, sugli ebrei. Era ridere per ridere, mica siam venuti su omofobi o antisemiti (pausa…). La comicità è una cosa complicata. Chi decide cosa si può dire e cosa no? Quando fai battute su Salvini diventi subito quello di sinistra. Ecco, io non sono di sinistra, mai stato, forse non trombavo per quello. Alle medie mi chiamavano “pidocchio”. Ma non lo ritenevo bullismo. Adesso leggendo i giornali trovo un sacco di cantanti e attori che dicono di aver subito bullismo da ragazzini. Poi tutti questi finiscono col far successo quindi, mi chiedo, quattro schiaffi son serviti no?”. Bizzarri ha iniziato a fare teatro a 15 anni, nella Genova del 1986. “Ero un normalissimo adolescente degli anni 80 e quindi per tutti un drogato. Però noi mica stavamo con sto cellulare in mano tutto il tempo come questi qui di adesso che vengono sempre considerati poveretti come se avessero l’adolescenza peggiore di sempre. Noi avevamo problemi tipo aids, epatite c, il mostro di Firenze, Chernobyl, il terrorismo. Ora c’è sto melodramma continuo sui giovani d’oggi e tutto un florilegio di malattie e apprensioni”. Qui il comico entra con due piedi nell’assurdità dell’iper protezione ora in voga. La solita nipotina (terza elementare) gli ha dice che a scuola non gli correggono i compiti con la penna rossa perché è un colore che potrebbe turbare il bambino e li correggono con la penna verde perché è più rassicurante. “Ma son bambini o tori? Se un bambino non riesce a sopportare la penna rossa cosa farà quando avrà problemi veri??”. I riflettori quindi sono su di noi, perché la classe politica che abbiamo è nostro specchio, mentre un tempo pareva gente d’altri pianeti, che parlava un’altra lingua, quasi inarrivabili, oggi i nostri vizi e le nostre miserie sono le stesse della classe dirigente. E qui Bizzarri affonda il colpo: “Ma lo vedete come ci comportiamo noi? Ci vedete? Lo vedete come parcheggiamo davanti alle scuole? Come attraversiamo i passaggi pedonali? Come ci rivolgiamo agli insegnanti dei nostri figli? Come approcciamo la coda alle poste? Come trattiamo i dottori che ci curano? Lo vedete chi votiamo?”.

Con Paolo Kessisoglu con cui forma un duo stabile da quasi 30 anni

Il finale è pensato per fare in modo che il pubblico vada a casa senza nessuna speranza. E quindi arriva il momento chat. Racconta di una chat di maschi “adulti, non dodicenni!” che passano le giornate a mandarsi i vocali delle loro scoregge e a farsi i complimenti. “E tu ti dici non è possibile. Ma poi è chiaro che i ragazzi vengono su così coi tatuaggi sulla faccia!”. E infine l’amore, spiegato da quello che a 53 anni è ancora un adolescente nell’animo, che non capisce come si ama e se e quanto sia difficile. Ma c’è “L’orologio americano” di Ivano Fossati che spiega tutto e termina con “è così che la gente vive, è questo che la gente fa, è così che ci si insegue per un morso di immortalità, è il meccanismo ottuso di un orologio falsoamericano che misura il tempo e tempo non c’è più ma fermava il tempo se passavi tu.”. Quell’irrefrenabile desiderio di essere vivi, di riderci sopra e di sperare domani vada meglio, nonostante tutto. Luca Bizzarri, in fondo, non racconta che questo.

Gennaio 2025

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