Aspettando Nick Mason. Parte terza: la discografia 69/70

Venerdì 19 luglio la band “Nick Mason’s A Saucerful of Secrets” si esibirà in Piazza dei Signori a Vicenza e sarà l’evento musicale dell’estate. In attesa del concerto ViCult vuole offrire una piccola panoramica sull’artista e sulla storia musicale dei Pink Floyd che ci aspetta dal vivo. QUI la parte prima, e QUI la parte seconda.

Il 1968 si era chiuso con l’ennesimo singolo che mancava l’appuntamento con le classifiche, tanto che da quel momento in poi il gruppo decise di concentrarsi solo sul formato 33 giri e fino a “Money” non ci sarebbero più stati 45 giri. Il brano era “Point Me At The Sky”, scritto da Waters e Gilmour e raccontava la storia di un pilota di aereo che precipita a causa di un guasto al suo aereo. Quel singolo però è importantissimo per il contenuto del lato B, ovvero la prima versione di “Careful With That Axe Eugene”, che poi diverrà un classico. Composto da tutti e quattro i componenti dei Pink Floyd, il brano ha conosciuto diverse variazioni nel tempo ed è stato nuovamente registrato per la colonna sonora del film di Michelangelo Antonioni Zabriskie Point, e per l’occasione rinominato in Come in Number 51, Your Time Is Up. È stato suonato per l’ultima volta in un concerto ad Oakland il 9 maggio 1977. Sostenuto da una figura elementare di basso ma molto ipnotica, lo strumentale cresce tra uno sferragliare di piatti e un dialogo tra organo e chitarra che ricorda preghiere orientali e bisbigli soprannaturali in un’atmosfera di tragedia incombente, e che all’improvviso viene squarciato da un urlo lancinante, con blocchi di musica che schizzano da tutte le parti; disintegrato, si riavvolge su se stesso e riprende soffice e innocente, in agguato per un’altra vittima, metà amplesso, metà trip, metà incubo e metà delirio.

La versione definitiva compare nel nuovo lavoro della band: “Ummagumma”, pubblicato nel novembre del 1969. Ma prima l’annata ha offerto dell’altra musica targata Pink Floyd. Barbet Schroeder, svizzero nato a Teheran, stava realizzando il suo primo film da regista: “More”, in cui aderiva ai dettami della nouvelle vague e li inseriva però nel contesto hippy e, più in generale, nelle atmosfere di una generazione che era pronta ad auto-glorificarsi a Woodstock proprio in quell’estate. Il film raccontava la storia di due giovani che compiono un viaggio ad Ibiza, tra voglia di cercare nuove esperienze e un crescente e malato rapporto con la droga. L’importanza storica del film risiede nella sua colonna sonora, che poi, uscita col titolo “Soundtrack from the Film More”, il 13 giugno 1969, rappresenta il primo album dei Pink Floyd senza Syd Barrett e nella formazione che da lì in poi definiremo “storica”. Un disco più rilassato e sognante, semplice nella sua pastoralità che vive nei momenti più onirici come “Cirrus Minor”, “Cymbaline” o “Green Is The Colour”, bilanciata dall’irruenza di brani come “The Nile Song” o “Ibiza Bar”.

Di fatto pare non esserci una direzione chiara da parte della band che, evidentemente, soffre della perdita del suo leader e confonde un po’ le idee in attesa di quelle memorabili. La prova di tutto questo sta nella mossa discografica successiva, un album che ora è storia della musica ma che al tempo manifestava lo spaesamento e la confusione che regnava nel gruppo: “Ummagumma”. Per risolvere l’impasse, i quattro scelsero di dividere il lavoro in due parti distinte: un primo vinile dal vivo con il meglio della produzione del tempo e un secondo 33 giri con solo composizioni individuali. Il primo disco è qualcosa di clamoroso per forza, impatto sonoro e capacità di riprodurre l’esperienza di un live dei Pink Floyd di quel momento. I brani scelti sono 4 e sono 4 capolavori assoluti: la barrettiana “Astronomy Domine”, la già citata “Careful…” la spaziale “Set The Control For The Earth Of The Sun” e la monumentale “A Saucerful Of Secrets” qui in versione romantica, con struggente inno finale di Gilmour soltanto gridato, sugli accordi religiosi dell’organo. Il secondo vinile invece apriva le porte sulle sempre intricate dinamiche interne del gruppo. L’idea alla base del disco in studio fu che i brani fossero scritti da ciascuno dei quattro membri ognuno per conto proprio, avendo quindi a disposizione circa dieci minuti ciascuno. I Pink Floyd non si ritennero mai soddisfatti del lavoro, criticandolo a più riprese; negli anni successivi, Roger Waters lo definì un “disastro”, mentre nel 1995, David Gilmour lo definì “orribile”; nel 1984, Nick Mason disse: “Pensavo fosse un piccolo esercizio molto buono ed interessante, ma credo anche che sia il più classico esempio di una somma migliore delle singole parti”, e in seguito lo descrisse come un “esperimento fallito”. Eppure c’era molto di buono anche in quel secondo disco, “Granchester Meadows” e “The Narrow Way” soprattutto ma anche l’esperimento di Nick Mason che con “The Grand Vizier’s Garden Party” offre un esercizio da cui avrà origine la prassi di arrangiamento “rumoristico” che diventerà un marchio di fabbrica del complesso.

Nel corso del 1969, l’anno della confusione e dei ripensamenti, aveva aleggiato anche un altro progetto che però non fini mai per intero su disco. Si chiamava “The Man and The Journey”, una suite musicale in due parti in cui la musica si integrava con performance con attori che costruivano un tavolo e bevevano tè sul palco. Parte di quel progetto torna sul nuovo disco “Atom Earth Mother” nella conclusiva “Alan’s Psychedelic Breakfast”. Ma quel disco è incentrato sulla suite che occupa tutta la prima facciata, con tanto di orchestra diretta ed arrangiata da Ron Geesin, che rappresenta una svolta verso il rock progressivo che proprio nel 1969 con la pubblicazione di “In The Court Of The Crimson King” dei King Crimson, aveva visto il suo anno zero. Il mastodontico brano di quasi 24 minuti è diviso in 6 parti, presenta un tema fortemente morriconiano (le colonne sonore degli spaghetti western erano molto di moda all’epoca), un coro, elettronica rumoristica, aperture funky e trionfo finale. Ascoltata oggi la suite sembra un vecchio treno a vapore ma al tempo fu un grande successo. Nick Mason non fu mai soddisfatto del risultato finale, e nemmeno Gilmour si è mai detto un fan di quel lavoro. Però una cosa era certa: i Pink Floyd avevano girato pagina ed ora erano una band nuova. Mancava solo il raggiungimento di un suono ed un’identità precisi e definitivi, che sarebbero arrivati con il capolavoro che è “Meddle”. Nel frattempo comunque la maturità era già evidente. Anche in quella che è forse la vera gemma del disco: “Summer 68”, l’umile canzone con vocalizzi folk-rock, pianismo classico e trombe psichedeliche scritta da Richard Wright. Menzione doverosa anche per la copertina, uno dei lavori più noti di tutta la storia della musica, a cura di quello studio geniale che si chiamava “Hipgnosis” e del grafico Storm Thorgerson.

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