Venerdì 19 luglio la band “Nick Mason’s A Saucerful of Secrets” si esibirà in Piazza dei Signori a Vicenza e sarà l’evento musicale dell’estate. In attesa del concerto ViCult vuole offrire una piccola panoramica sull’artista e sulla storia musicale dei Pink Floyd che ci aspetta dal vivo.
Gli anni del rock classico sono stati anni di grandi virtuosi. Per ogni strumento vi era l’eroe da imitare o anche ben più di uno. Hendrix, Clapton, Page, Gilmour, sono appena i primi 4 nomi che vengono in mente quando si parla di chitarristi che hanno fatto la storia di quel periodo. O tastieristi come Keith Emerson o Rick Wakeman, bassisti come John Entwistle o Jaco Pastorius e ovviamente batteristi. Keith Moon, John “Bonzo” Bonham, Billy Cobham, Phil Collins. Bene, se questo elenco fosse anche molto più esteso e comprendesse i primi 10, ma anche 20 nomi, non vi trovereste mai comunque Nick Mason. Eppure è stato il batterista di uno dei gruppi più importanti di ogni tempo e ancora oggi porta in giro la musica forse più sperimentale e visionaria che si sia mai composta. Un uomo umile, con un senso dell’umorismo tutto british, pacato, amante delle auto da corsa, pacioccone, sacrificato dal despota Waters eppure sempre disposto a fare da paciere, mai al centro di nessun tipo di gossip. Questo è Nick Mason. Il fatto è che nella lista manca l’espressione “grande batterista” ed il motivo è semplice: di fatto, non lo è mai stato. Vuoi perché il repertorio Floyd è tutto basato su un 4/4 lento, salvo rarissime eccezioni, vuoi perché Mason ha sempre puntato sull’effettistica più che sul virtuosismo, sulla cura del suono, sul singolo ticchettio del piatto. Se si pensa al suo stile, viene in mente il charleston di “Another Brick In The Wall pt.II” o il costante uso del ride per accompagnare le ballate stile “Breathe In The Air” o “Echoes” oppure quel piccolo assolo sui rototom che precede “Time” in cui c’è forse l’essenza della musica secondo Mason. Passaggi banalissimi eppure di totale efficienza e pertinenza per il risultato finale. Pink Floyd è sempre stato un marchio che comunica qualcosa di alieno e di alienante, sempre onirico e immaginifico, ma allo stesso tempo sempre molto pensato, lambiccato, curato in ogni singolo dettaglio.
Non è questa comunque la musica che Mason e la sua band porteranno a Vicenza. Niente “Dark side of the moon”, niente “Wish you were here”, e nemmeno “Animals” o il monumentale “The wall”. In maniera molto intelligente, Nick Mason ha deciso di differenziarsi dai colleghi e di diffondere anche alle nuove generazioni, la musica dei primi 5 anni dei Pink Floyd, dal ’67 al ’72, quando dapprima erano il gruppo del genio folle di Syd Barrett e poi una band che cercava una propria identità attraverso esperimenti psichedelici e un certo rock free form. E la mossa è strategicamente perfetta. Mentre Waters (tra un’invettiva politica e l’altra) gira il mondo con spettacoli impressionanti per dimensioni, costi e megalomania e Gilmour (in maniera ben più umana) porta anche lui sui palcoscenici classici come “Money”, “Shine on you crazy diamond” e “Confortably Numb”, Mason preferisce la golden age del rock psichedelico e quindi le varie “See Emily Play”, “Bike”, “Set The Control for The Heart Of The Sun” e il trionfo di “Echoes”, probabilmente il singolo brano che meglio cattura tutto ciò che è stato Pink Floyd e quanto quella band fosse superba nei momenti in cui tutti i componenti erano sullo stesso piano. Tutti tranne uno, ovviamente. Il batterista nato a Birmingham e cresciuto in un’agiata famiglia della borghesia inglese nell’elegante quartiere di Hampstead nel nord di Londra, ha scritto pochissimo per il gruppo eppure è l’unico dei 5 ad aver suonato in ogni album pubblicato dalla band in carriera. La sua firma come autore la troviamo in “Interstellar Overdrive” (non a caso nata da una lunga jam su un riff di Barrett), in “Pow R. Toc H.” (idem come sopra), negli strumentali di “More” e in “When You’re In” da “Obscured By Clouds”. Quando poi entriamo nella fase multi milionaria (dal ’73 in poi) ecco che il contributo di Nick diminuisce ancora, sebbene sia il responsabile di un patchwork sonoro tra i più famosi e importanti di sempre, ovvero “Speak to me”, il folgorante intro di “Dark Side Of The Moon”.
Dove però Mason c’era in fase di scrittura è in alcuni dei brani fondamento dei primi anni della band e quindi anche del concerto che ora sta girando il mondo. Parliamo innanzitutto del pezzo che ha dato il nome al progetto stesso: “A Saucerful Of Secrets”, e poi di “Echoes”, “Atom Earth Mother”, “One Of These Days” e di quell’esperimento di musica concreta mista alla lezione di Edgard Varèse che si chiama “The Grand Vizier’s Garden Party”. Ma dei singoli brani e della discografia parleremo in un secondo articolo.
La formazione dei “Nick Mason’s A Saucerful Of Secrets” è un concentrato di storia della musica con qualche sorpresa. Intanto c’è lui, il padrone di casa, in forma come non mai e poi al basso c’è Guy Pratt, dal 1987 di fatto un Pink Floyd ad honorem, avendo suonato in ogni tour e anche nei dischi (tranne che in “A Momentary Lapse Of Reason” dove c’era sua maestà Tony Levin). Alla chitarra troviamo Lee Harris e alle tastiere Dom Beken e per finire la voce principale e la seconda chitarra sono di Gary Kemp, ex leader degli Spandau Ballet! Una formazione oliata da anni ormai sulla strada e che reinterpreta alla perfezione una musica che troppi hanno dimenticato pensando che Pink Floyd fosse solo quel monumento nato col disco della luna e chiuso col muro attorno.