La settimana scorsa ha visto due eventi interessanti. Gli Stati Generali per la Natalità e contemporaneamente la pubblicazione di uno studio di Save the Children che dà un quadro molto preciso di cosa significhi essere madre in Italia oggi.
Sessanta anni fa non restare incinta subito dopo il matrimonio costituiva motivo di preoccupazione e spesso la coppia veniva additata e criticata. Poi siamo passati attraverso le grandi conquiste sociali che sancivano i diritti delle donne che diventavano più sicure del loro ruolo nella società e così un po’ alla volta si affermava l’idea della maternità consapevole che permettesse alle donne, oltre che essere mogli e madri, anche delle lavoratrici.
Sposarsi e fare subito un figlio non era più un automatismo. Molte variabili hanno favorito un cambio di rotta: le donne cominciavano ad affermarsi nello studio e nel lavoro e quindi decidevano se e quando avere un figlio. Negli anni ’80-’90 i figli arrivavano dopo quattro cinque anni dopo il matrimonio e arrivavano ad essere madri donne che avevano superato i trent’anni. Oggi l’attesa si è fatta più lunga e il primo figlio lo si fa anche dopo i 40 anni. Così si spiega la denatalità di cui soffriamo e così si mostra quanto sia difficile diventare mamme oggi.
Se non si lavora in due non si arriva a fine mese, se si decide di fare un figlio si deve capire prima quali saranno le reazioni del datore di lavoro che potrebbe costringere al licenziamento. Insomma la maternità non è più il coronamento di un amore profondo di coppia. E’ prima di tutto una scelta che dovrà poggiare su solide basi economiche che dovrà mettere in conto tanti sacrifici e tante incognite.
Allora si preferisce posticipare anche perché il nostro Stato fa ben poco per aiutare la maternità, cancellando quel poco di buono che si era raggiunto nelle passate legislature. E quando poi si diventa mamme inizia il periodo che l’inchiesta di Save the Children chiama “delle equilibriste”. Giornate estenuanti fatte di corse al nido, prima, all’asilo poi o alla scuola, poi il lavoro, la casa, un marito a cui pensare che non sempre condivide le fatiche dell’essere genitori. Si può pensare di mettere al mondo più figli in queste condizioni? No! E non bastano gli Stati Generali della Natalità per spingere le donne ad essere madri. Ricordiamo che ogni bimbo che nasce ha diritto a crescere bene, sano, curato, coccolato educato secondo le sue potenzialità, ha soprattutto il diritto ad essere felice. Lo Stato garantisce tutto questo? E poi ci sono i diritti della mamme che spesso si sentono sole, lamentano di non avere più tempo per sé e dichiarano che stavano meglio prima della gravidanza. Vorrebbero conciliare meglio il tempo dedicato al figlio e al marito con il lavoro e con la cura di sé. Vorrebbero servizi che garantissero una migliore gestione del tempo.
Le aziende dovrebbero promuovere una cultura più inclusiva, un ambiente di lavoro più equo e sostenibile. E magari anche servizi per la prima infanzia, come asili nido e supporto per le esigenze dei figli in ambito scolastico. E poi ancora le donne esprimono la necessità di una maggiore collaborazione da parte del partner nella gestione del lavoro domestico e della cura dei figli. C’è ne è di strada da fare e ancora una volta l’Italia non brilla nelle graduatorie europee.
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