Quasi quattromila morti in più in trent’anni rispetto alle previsioni statistiche nei trenta Comuni compresi nella Zona Rossa dell’area di inquinamento Pfas. È la drammatica evidenza che risulta da uno studio del prof. Annibale Biggeri e del suo gruppo di ricercatori dell’Università di Padova, in collaborazione con il Registro Tumori dell’Emilia-Romagna, il Servizio Statistico dell’Istituto Superiore di Sanità e con il contributo delle Mamme No Pfas e pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Health. La ricerca è stata finanziata dalla Regine Veneto nell’ambito di una consulenza affidata a Epidemiologia e prevenzione, impresa sociale di cui Biggeri è presidente.
Lo studio ha riscontrato che, dal 1985 al 2018, si è registrato un eccesso di oltre 3.890 morti (51.621 contro 47.731) rispetto ai decessi previsti statisticamente per tutte le cause nella popolazione dell’area contaminata. La ricerca ha dimostrato un aumento della mortalità causate da tumori a fegato, pancreas, testicoli, utero, polmoni, reni e tiroide, diabete e da malattie dei sistemi digestivo e circolatorio, soprattutto ictus e infarto.
Per la prima volta, inoltre, è risultato provato il nesso causale tra l’inquinamento umano ai PFAS e i decessi per malattie cardiovascolari.
Altre evidenze della ricerca riguardano l’età dei soggetti ammalati: c’è, infatti, un aumento del rischio di insorgenza di malattie oncologiche nei soggetti più giovani. È stato anche rilevato un sorprendente “effetto protettivo” dei Pfas sulle donne in età fertile, che si potrebbe spiegarecon il trasferimento dei composti dal sangue materno al feto durante la gravidanza e l’allattamento che potrebbe portare alla diminuzione di livelli di perfluoruri nelle madri, fenomeno già documentato nella letteratura scientifica.
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