“Acqua e Anice” di Corrado Ceron, nella sua Nanto.

C’è un momento chiave nel film di Corrado Ceron. Quando Olimpia spiega a Maria perché le piace così tanto bere acqua e anice. Le spiega che quando versi l’acqua sul ghiaccio e sull’anice che sta in fondo al bicchiere, tutto diventa torbido e non si capisce più dove sia un elemento e dove sia l’altro. In quelle parole sta il senso sia del titolo del film che della struggente e dolcissima storia di Olimpia e Maria. Elementi che si mescolano, storie che si intrecciano, vite ed emozioni che provocano reazioni che cambiano le vite stesse, le contagiano, ne mutano l’essenza. Poco dopo, nella scena successiva, le due raggiungono una vecchia balera abbandonata, ormai divenuta scheletro, fossile archeologico, simulacro di memoria. E lì ballano, dove un tempo c’era festa e suono e vita, quella vita che per Olimpia sta per finire e per Maria cambiare definitivamente.

Martedì 30 maggio “Acqua e Anice” è stato proiettato nella suggestiva antica pieve a Nanto, paese d’origine di Ceron, che l’ha visto residente fino a 19 anni fa. La riviera berica con la sua strada che la sventra, con le nebbie, i capannoni nuovi, i ponti, le vigne, i colli a due passi, e un paesaggio che ancora resiste alla corrosione della modernità, o almeno ci prova. Da qui è partita l’avventura artistica di Corrado Ceron che confessa che già a 8 o 9 anni guardava i film di Antonioni e Fellini e Godard. Ora, immaginare un pre-adolescente alle prese con Bande à Part è quantomeno bizzarro, ma Corrado ama il cinema davvero da sempre e candidamente ammette di non avere mai avuto un “piano B”.

Grazie al cielo (e al talento di Ceron) il piano A funziona benissimo. Il suo primo lungometraggio è una storia di vita e di alterazioni. Un viaggio fisico e mentale dentro all’Italia della provincia (si parte da Comacchio, dove tutti i protagonisti agiscono) e del liscio. Una sorta di versione folk di “Fuoco Fatuo” di Luis Malle, senza le musiche di Satie e con le orchestre spettacolo delle nostre sagre. Una Sandrelli stupenda e perfetta, giganteggia per 110 minuti ma anche Silvia D’Amico merita una menzione d’onore per come si cala nella parte con grazia, poesia e spontanea bellezza.

Vedere il film in paese è stato un valore aggiunto fortissimo. Ha ridato dimensione popolare alla settima arte, togliendola dalle messe cantate dei cineforum. Il cinema è vita stessa, perché racconta storie, e ognuno di noi è una storia, ed è per questo che il cinema non finirà mai. L’antica pieve di Nanto è un posto da cui si domina quasi la valle, e ci si sente dentro ad un altro mondo, nuovo perché vecchio, in cui anche Olimpia si sarebbe trovata bene, ovviamente con un bicchiere in mano con acqua, ghiaccio e anice.

Aprile 2024

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