Vicenza Jazz 2023, giorno 4. Dioniso al coperto

“This thing’s outrageous, I tell you on the level, it’s really so contagious must be the work of the devil, You better go now, pick up the pipers, tell them to play, seems the music keeps them quiet, there is no other way”. Peter Gabriel era al primo disco solista dopo la sua traumatica (per i fans) uscita dai Genesis e iniziava quell’album con un brano che parlava del “ballo di San Vito”, malattia cosiddetta in riferimento a San Vito martire cristiano, patrono dei danzatori e morto nel 303 d.C. Si chiamava “Moribund The Burgemeister”, un brano cupo e satirico su una persona di potere che lotta per dare un senso al caos e al conflitto di cui è testimone. Il Burgermeister, una figura di autorità, è sopraffatto dall’inspiegabile disordine della gente in piazza. In risposta al “contorcersi e rigirarsi in mille modi” della gente, il borgomastro inizia a prendere misure per controllare la situazione, sigillando il parco del castello e cercando la causa. Tuttavia, nonostante tutto ciò che fa, non ha successo e i suoi tentativi di porre fine a tutto questo sono inutili. Il ritornello della canzone – “Ah, guardate quella folla!” — serve come avvertimento minaccioso al Burgermeister che non può controllare il caos. Alla fine della canzone, il Burgermeister dichiara che “si pentiranno” delle loro azioni, ma in fondo sa che non è in grado di farli pentire. La canzone è un’allegoria dell’impotenza che i leader politici possono spesso provare di fronte a disordini e ingiustizie sociali.

Nessun borgomastro può fermare i tarantati, questa la morale di sabato 13 maggio, giorno che precede la tornata elettorale peraltro. Tutto ha un senso. L’ultima (e unica) volta che venne spostato il concerto in piazza fu nel 2019. Ora accade per la seconda volta ed è stato un enorme dispiacere perché i “tarantolati” dovevano ballare in piazza, portare la grande messa-esorcismo in centro, mostrare a tutti il rituale dionisiaco terapeutico. Niente rock nella Casbah invece e la “Notte della Taranta” si sposta nel tepore asciutto del Teatro Comunale.

Prima di tutto questo c’è stata una giornata nuovamente all’insegna delle connessioni multidisciplinari e della scoperta del senso del jazz dentro alle arti. Alla libreria Galla, alle 17, si è svolta la vernice della mostra “She, Coltrane. Paintings for Alice” con i dipinti di Giorgia Catapano in bilico tra suono e segno. Ce ne ha parlato lei stessa.

Alice Coltrane, pianista di formazione classica, moglie di John, uno dei più grandi geni musicali del novecento. La sua musica fondeva spiritualità orientale e sensibilità blues-jazz. Rispetto al frenetico free-jazz del marito, Alice Coltrane raggiunse l’altra estremità dello spettro, e la sua musica era a malapena definibile jazz. Il suo capolavoro assoluto, Universal Consciousness, presentava brani composti per arpa, archi dove l’elemento umanistico e cosmico prevaleva sulla musica stessa.

La mostra rimarrà aperta sino al 28 maggio.

All’odeo del Teatro Olimpico è successivamente andato in scena un evento molto atteso e molto partecipato in cui si incrociavano temi ed autori solo apparentemente in contrasto. Già perché come ieri ci si chiedeva il motivo di accostare poesia dell’est Europa, la più grande chansonnier francese e la drammaturgia teatrale nera, oggi la ricerca della grande anima del Jazz ci porta dalle parti di Goffredo Parise e Vitaliano Trevisan attraverso la voce di Patricia Zanco e le musiche di Marcello Tonolo. Le cose sono andate pressappoco così: Riccardo Brazzale (Direttore artistico del festival) incontra casualmente Patricia  fuori dal Teatro Astra poche settimane fa quando però il programma era già completo. Decide di fare ugualmente un’anteprima dello spettacolo perché l’idea gli piace molto. Si opta per l’odeo del Teatro Olimpico, che per acustica purtroppo non è comunque il luogo più adatto. Lo spettacolo nasce da un’idea del compianto Vitaliano Trevisan che, partendo dalla sua passione per i Sillabari di Parise,  li trasforma e li riscrive in un monologo originale che ricalca la struttura dei sillabari stessi e che, recitati mentre suona il trio di Tonolo, diventano un jazz speech senza tempo. Operazione riuscitissima e filologicamente perfetta visto anche che Trevisan era batterista, adorava letteralmente il jazz e ha scritto anche un libro che si chiama Standard.

Pioviggina, sono le 19.30. In piazza delle Erbe, davanti al Drunken Duck, ci imbattiamo nel soundcheck degli Astral Brew, che portano un prog-jazz di effettistica e free-form. La sera porta tutti al Comunale, a seguire i ritmi, i colori, la tradizione e le danze della Puglia, a partecipare alla baraonda come tanti antropologi scossi, ad osservare zagaredde, nastri, misuri, capiscioli roteare ed attirare a sé, tanto che alla fine il pubblico ballerà senza ormai più freni, sotto al palco. Peccato davvero, meteo maledetto, Piazza dei Signori ha perso uno spettacolo unico.

“Dioniso travolgeva nell’ebbrezza e usava il sarcasmo verso chiunque gli si opponesse. Non proclamò mai di sostenere la parola vera. Era come se la parola si mescolasse al suo corteo fra Menadi e Satiri, ma senza troppo farsi notare. Dioniso era intensità allo stato puro, che attraversava e scardinava ogni ostacolo, senza soffermarsi sulla parola, vera o falsa che fosse” – Roberto Calasso.

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