“Raffaello. Nato architetto”. Al CISA si rivela il genio della città sostenibile

“L’Architettura deve iniziare dall’ambiente dove le persone vivono e non dal turismo. Da lì dovrebbe partire un politico nel parlare di città”, osserva il prof.Arnold Nesselrath, tra i curatori della mostra “Raffaello. Nato architetto”, inaugurata al CISA Palladio fino al 9 luglio. Nel corso della presentazione della mostra, l’accademico tedesco svela da subito quel lato in ombra del grande maestro rinascimentale, Raffaello Sanzio da Urbino e, con un’involontaria coincidenza, introduce alle autorità e al pubblico presente, un tema per la città di grande attualità, ma dal punto di vista di un uomo vissuto cinque secoli fa. Tema elettorale, dato che Vicenza va alle elezioni e, in quanto città tanto rinascimentale quanto inquinata, la mostra potrebbe offrire lo spunto per una presa di coscienza dei suoi amministratori. L’esposizione temporanea ospitata nelle sale del Palladio Museum è sostenuta dal Ministero della Cultura nell’ambito delle iniziative del Comitato Nazionale “Raffaello 1520-2020”, dalla Regione del Veneto e dalla Fondazione Giuseppe Roi. Oltre a Nesselrath, la curatela è di Guido Beltramini, direttore dell’Istituto, del prof. Howard Burns e raccoglie il plauso di Michela Di Macco, presidente del Comitato Nazionale. 

Di Raffaello è certamente più nota la carriera di influentissimo pittore, ogni manuale di Storia dell’Arte ne rammenta l’influenza attraverso i suoi allievi eccellenti, come quel Giulio “Romano”Pippi che arriverà, attraverso Mantova, fino alle architetture di Vicenza. Di Raffaello ricordiamo il ruolo di straordinario decoratore alla moda, grazie alla “scoperta” delle modernissime grottesche, catalogate dagli allievi negli scavi della Domus Aurea neroniana, e persino quel corollario di aneddoti e fantasie letterarie che il XIX secolo gli ha attribuito, per celebrarlo nel Pantheon dei geni del Rinascimento. 

Il Centro Internazionale di Studi di Architettura, offre all’urbinate l’occasione di farsi (ri)scoprire quale fertile inventore di architetture, nei 25 anni di attività che si interromperanno con la sua morte, a soli 37 anni. Non un estemporaneo sperimentatore, ma l’influente progettista in una Roma pronta al rinnovamento di quel XVI secolo forte di investimenti culturali. Raffaello è colui che definisce la rappresentazione architettonica fino all’avvento del computer. Una modalità che nasce dall’esigenza di documentare le antichità imperiali di Roma, nel suo tempo cavate a piene mani, e dal suo ruolo di “paefectus marmorum et lapidum omnium” per papa Leone X, dove egli seleziona i marmi da riuso per la costruenda Basilica di San Pietro. Raffaello si rivela un Prefetto moderno, capace di un’osservazione e una mappatura di qualità scientifiche, utili all’impresa di restituire la pianta della città dei Cesari in una Roma ancora medievale. Altresì la storia descrive un Raffaello sofferente nel denunciare con quanta facilità le antichità venissero triturate, per ricavarne della calce a buon mercato. A guardar meglio l’artista appare un novello attivista per i Beni Culturali, se non un vero e proprio Soprintendente di oggi, nella lotta contro gli speculatori del rinnovamento.

Entrando nel merito della sua pratica di architetto, va considerato il contesto della corte di Leone X, e dei suoi funzionari, per i quali egli concepì residenze e palazzetti, capaci di restituire una sorta di “ritratto” del committente stesso, sia per la collocazione degli edifici nei pressi di San Pietro e della perduta “Spina” di Borgo (nel Novecento abbattuta per spianare via della Conciliazione ma già a quel tempo soggetta ad un ridisegno urbanistico sul tessuto precedente), sia per l’utilizzo di elementi decorativi che definivano la “pelle” di pietra delle facciate. Alla morte di Bramante, nel 1514, Raffaello prende il suo posto nella direzione nella fabbrica di San Pietro, il che la dice lunga sulla fama di cui godeva nel suo tempo. Persino quell’Agostino Chigi che le cronache e i registri ci restituiscono come il banchiere più ricco del suo tempo, chiederà al Sanzio una propria dimora nella capitale. Tracce del precoce interesse per l’architettura del Sanzio si hanno da disegni e carteggi ancora conservati, anche se la scintilla per l’Architettura dovette derivargli dall’osservazione, nell’infanzia ad Urbino, del grande cantiere per il Palazzo Ducale. Un architetto è, prima di tutto, un professionista che modella la luce, che modula gli spazi. Per Raffaello l’indagine archeologica sui fasti imperiali, unitamente al desiderio d’essere moderni nell’imitazione del passato, crearono tutte le condizioni affinché oggi si possa disegnare una mappa delle sue capacità operative, da Villa Madama su Monte Mario, oggi del Ministero degli Esteri, fino alle grandi raffigurazioni che egli inserì nei cartoni per gli arazzi della Sistina o negli affreschi delle Stanze Vaticane, in particolare negli episodi de “La Scuola di Atene” o “L’Incendio di Borgo”.  Nel percorso della mostra sono presenti due riproduzioni ad altissima fedeltà degli enormi cartoni per gli arazzi il “Sacrificio di Listra” e la “Predica di San Paolo ad Atene”. Ai documenti originali, provenienti dal RIBA- Royal Institute of British Architects di Londra, dagli Uffizi e dalla Biblioteca Centrale di Firenze, si uniscono curatissimi spaccati architettonici realizzati manualmente e architetture a stampante laser, inclusa un’immersione a realtà aumentata, affidata all’Università di Architettura di Udine. Mappe dinamiche fanno eco dagli schermi, riflettendosi sui tavolacci di legno su cavalletti, per ricordarci che possiamo esporre allo stesso modo la modernità di Raffaello come quella di Renzo Piano.

L’architetto e scenografo Andrea Bernard ha amalgamato materiali eterogenei di enorme interesse, offrendo un nuovo capitolo alla vicenda di Raffaello architetto, proseguendo la missione della prima, grande mostra dedicata al tema, nell’ormai lontano 1984.  Rimane un unico rimpianto di noi moderni, che fa proprio il lamento del prof. Manfredo Tafuri, così dichiarato in un’intervista per la RAI: non poter conoscere dal vero la casa del Sanzio, quella che il maestro avrebbe voluto per sé e per il suo celebre laboratorio a Via Giulia, dove egli acquistò un lotto di terreno appena due settimane prima di morire. In quell’area, dove l’irregolarità del sito gli apparve come un’opportunità offerta al suo genio, l’architetto vi avrebbe composto geometrie e soluzioni formali viste a Villa Adriana o nel Tempio di Venere a Roma. E a riprova del riconoscimento che egli ottenne in vita, oltre a particolari soluzioni espressive, e nella scelta di risiedere in un quartiere “vip” della nuova Roma della Rinascenza, fanno di lui un prototipo dell’individuo che raggiunge il successo attraverso l’impegno e quell’insondabile caratteristica chiamata “genialità”.

Aprile 2024

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