Quando crescevo piccola Heidi ad Asiago, pensavo la vita fosse tutta lì, tra vacche e formaggi, tra prati in fiore e altri innevati. Insomma credevo che la natura la facesse da padrona più o meno sempre. Che ci fosse una specie di disegno che poi noi piccoli pastorelli eravamo destinati a seguire, col sorriso, come Heidi appunto, rispondendo al ciao delle caprette. Poi scesi a valle. Vicenza già mi pareva una grande città e Dio solo sa quanto non lo era e non lo è. Iniziai a capire che la natura non aveva posto ovunque, che gli atteggiamenti, le idee (no, non dico ideologie), che ritenevo spontanei ed ovvi, potevano essere messi in discussione da qualsiasi moccioso di prima liceo ma anche dai suoi genitori, fossero imprenditori, addetti al tornio o assessori al sociale. Quel che mi parve poi evidente, era che la provincia è vastissima ed eterogenea, e che spesso più è provincia e meno è provinciale. Sarà che se cresci in una realtà quasi rurale ti pare di essere più sana, sarà che a voler bene a tutti me l’ha insegnato mio nonno malgaro (e i riferimenti ad Heidi, giuro, finiscono qui), sarà che preferisco l’aria aperta all’odore di sacrestia, ma la vita della provincia nella città capoluogo mi stava stretta. Chiacchiericcio continuo, superfluo e spesso cattivo, perbenismo alla commissario Pepe, razzismo strisciante, coscienze lavate la domenica in chiesa e bigottismo duro a morire. Qualcuno si sente offeso? Bene, sappiate che si sono offesi anche a Padova, e per colpa di una di noi, una bassanesse di 28 anni che di cognome fa Michielin.
I fatti: il 24 febbraio scorso è uscito il nuovo album di Francesca Michielin “Cani Sciolti”. Il famoso disco “della maturità” che prima o poi ogni artista con il background della Franci arriva a fare, o almeno gli capita che qualcuno gli dica che l’ha fatto. Scritto tutta da sola, con testi personali come mai prima d’ora, è un lavoro che si prende la libertà di andare oltre il modello di ballata amorosa. “Non dovremmo mai dimenticare che facciamo pop per comunicare, non per parlare di noi stessi. Noi artisti siamo un mezzo. E le storie che raccontiamo diventano le storie di qualcun altro, che possono salvare qualcuno”. Non è un disco a tema ma esiste un filo rosso che unisce i brani ed è il rapporto tra città e provincia. Francesca, dopo la natìa Bassano, ha vissuto tra Padova e Milano e qui arriviamo al punto. La traccia numero 3 si chiama “Padova può ucciderti più di Milano” e nella città del Santo l’han presa male. Soprattutto, come accade sempre in questo nostro sgangheratissimo paese, si è acceso subito il dialogo politico. Accuse incrociate tra maggioranza e minoranza sullo stato di Padova, giudicata poco accogliente e inclusiva, addirittura razzista. Il testo recita: “Muri di cartongesso e preti nelle università, chi ci salverà? Liberami dal male che mi fai. Una particola al gusto dei miei guai. Padova può ucciderti più di Milano. Se non stai attento ti annebbierà. Lasciami amare chi mi va. Tra semplicismo e semplicità” E poi: “Perché dici in giro che siamo tutti uguali se poi voti i razzisti ai consigli comunali? Le battute sconce alle feste di quartiere. Sono minorenne, dai, offrimi da bere. Dimmi, in chiesa che cosa reciti a memoria? Di un profugo straniero in una mangiatoia, se non capisci lascia anche vuoto il tuo presepe, se sta cadendo un ponte è colpa delle crepe”. Capito no?
Ma come si permette la tipetta icsfactoriana di farci la predica? Eccola qui un’altra tutta diritti e niente doveri. O magari un po’ di ragione ce l’ha? Padova può ucciderti, certo che si, perché la ristrettezza mentale è sempre una cella di un carcere da cui però si può uscire se si vuole. E se Padova è così, Vicenza allora cos’è? Avesse scritto “Vicenza può ucciderti più di Milano” come l’avremmo presa? Già mi immagino le polemiche. Mi par di sentirli dire che non si deve parlar male di se stessi, che deve tutto al posto in cui è nata e quindi sputa nel piatto in cui mangia, che evidentemente si è montata la testa e che è meglio se ne stia in Piazza Gae Aulenti, e in un crescendo rossiniano il gran finale: la solita egoista di sinistra! In realtà mica occorre essere schierati politicamente, anzi, sa di scusa e di benaltrismo (altra piaga secolare) imputare ad una sola fazione certe critiche o rivendicazioni. Vicenza si offenderebbe, certo. La Vicenza degli assessori regionali che palpeggiano e incitano ad usare lo schioppo, la Vicenza che quasi quasi proibisce i kebab, la Vicenza che vuole recintare i parchi (che poi si chiama Campo e i campi da che mondo e mondo non vanno recintati!), la Vicenza dei basabanchi e di quelli che si spaventano per gli artisti di strada, la Vicenza di quelli che vogliono abitare in centro ma chiamano le forze dell’ordine ogni tre per due perché al bar sotto casa si parla e son già le 22, la Vicenza che tutti bevono ma guai se ti vedono col bicchiere in mano, la Vicenza sempre più morta, sonnolenta eppur rancorosa e pettegola. Cara Francesca, qui ti si vuole bene, pora stella, quando vuoi sentiti pure a casa. Quanto a me, Milano non mi sta uccidendo, forse perché il mio buen retiro ce l’ho dove mi sorridono i monti e mica dove mi accoglie la mega penna di alpino.