Nelle ultime due settimane, al Teatro Comunale “G.Verdi” di Lonigo, è accaduto qualcosa che lascia ben sperare sulla prospettiva, quella culturale, di riconoscere un pubblico desideroso di sviluppare la propria coscienza. Una coscienza laica, storica, consapevole, che ha donato al teatro due serate da tutto esaurito per temi che sono un pesante fardello europeo. E nel riempire le poltrone, altrettanti spettatori hanno chiesto una replica, e tra loro molti giovanissimi e non abbonati al teatro.
La prima delle due date ha visto protagonista, venerdì 10 febbraio con replica per le scuole la mattina seguente, una presenza eccezionale e molto apprezzata come Remo Girone. Attore sensibile e attento alle sfumature psicologiche del suo personaggio Simon Wiesenthal, lo spettacolo scritto da Giorgio Gallione porta un titolo alquanto inquietante: “Il Cacciatore di Nazisti”. Wiesenthal, giusto tra i giusti sopravvissuti ai campi di concentramento, nella sua vita di volontario si spese per stanare i nazisti fuggiti sotto falsa identità in mezzo mondo. Un uomo che si vedeva invecchiare nel rimorso e nella consapevolezza che gli oltre mille mostri consegnati alla giustizia, non erano che una piccola goccia in un male di criminali rimasti impuniti. Nel corso del monologo Girone ha ripercorso senza inciampare in facili colpi di scena, una selezione di follie, dalla lunga lista di sangue che i nazisti non risparmiarono ai bambini come agli adulti. Della raccapricciante lista, ciò che fa più male è lo scoprire che nei pochissimi casi nei quali un gerarca rifiutò di prevaricare le vittime, non subì la Corte Marziale. Essenzialmente, se gli operatori della morte si fossero opposti alle crudeltà, qualcosa sarebbe potuto cambiare. Sono solo ipotesi, naturalmente, ma quel che è certo è che, in vita, Wiesenthal dovette affrontare anche le opposizioni di figli di nazisti, i quali crebbero scettici rispetto agli orrori dei loro padri. Nei fatti, già parte della
cronaca del dopoguerra, ci fu anche il tentativo di negare l’uccisione di Anna Frank, divenuta una pietra miliare tra le memorie di vittime della Shoah.
Sabato 18 febbraio il sipario riapre sull’altra tragica vicenda generatasi nella Seconda Guerra Mondiale, dove le vittime sono invece gli esuli dalmata-fiumani-istriani. 300.000 persone costrette ad abbandonare le proprie terre. Simone Cristicchi ci offre l’occasione per una nuova “Giornata del Ricordo” tornando in scena con il suo fortunato “Magazzino 18”. Nell’unica data riservata al Veneto, il cantautore romano conosciuto per il suo impegno nei temi scomodi, narrerà di quel magazzino, sigillato per decenni nel Porto Antico di Trieste, uno spazio di stoccaggio divenuto memoria degli esuli sfuggiti ai crimini del generale Tito. Potremmo riconoscere nel Magazzino 18 un labirinto di memorie familiari, fatto di oggetti quotidiani come ne trovavamo nelle case delle nonne. Arredi e beni d’uso quotidiano che le famiglie d’oltremare depositarono lì, in un’Italia troppo indifferente per occuparsi di loro: dal 1947 intere comunità si dispersero tra l’Italia e il mondo, ricevendo un’accoglienza tutt’altro che familiare. Cristicchi riporta in scena, dopo quasi 500 repliche, uno spettacolo che arriva al suo decimo anno dal debutto, scritto con Jan Bernas e diretto da Antonio Calenda. L’eccezionalità di queste due date, merita d’essere valorizzata e, senza riserva, di entrare nell’orbita di nuovi classici per il teatro, capaci di educare i consapevoli anche a distanza di decenni. Con due approcci diversi tra loro, il monologo di Remo Girone e la narrazione cantata di Cristicchi sono la dimostrazione che anche nei momenti meno luminosi, il teatro ci consente di partecipare ai fatti scomodi della nostra storia, garantendo alle nuove e vecchie generazioni la trasmissione di una memoria che ci riguarda.