“Il sindaco Francesco Rucco ha firmato un’ordinanza che estende, dal 31 dicembre 2022 al 7 gennaio 2023, il divieto di accendere e lanciare fuochi d’artificio, sparare petardi, far scoppiare mortaretti, razzi e altri artifici pirotecnici sulla pubblica via, nelle piazze, nei parchi comunali e in tutti i luoghi pubblici frequentati dai cittadini” Così recita il comunicato stampa del Comune di Vicenza che ci spegne l’illusione di essere poveri. Quel senso di appartenenza ad un mondo ultimo che trova solo nello sfogo la giustificazione della sua bava alla bocca quotidiana. Ma come? Ci togli i botti? Però i terroni li usano eccome. Ecco vedi? Noi neanche quello.
Certo, a fare quelli che ragionano, non è difficile trovare di buonsenso la dichiarazione del Sindaco quando dice che: “L’utilizzo di giochi pirotecnici e in particolare lo scoppio di petardi, può avere gravi ripercussioni sulla collettività, causando anche danni alle persone e a cose, nonché particolari effetti negativi sugli animali”. Eh beh, ci mancherebbe altro. Ma dov’è la lavatrice gettata dalla finestra che cade dritta sulla macchina di Fantozzi? Dov’è il petardo che porta via due dita della mano al padre di famiglia che non vedeva l’ora di far partire il suo razzo casalingo? Dov’è quel poggiolo che prende fuoco mentre i bambini piangono? Ci stanno togliendo il diritto ad essere animalmente e ritualmente selvaggi. In anni del genere, dopo una pandemia, con l’inflazione che ci toglie la tredicesima, con la festa in piazza che non viene fatta perché i conti (e i contabili) non tornano … e non possiamo sfogarci?
Ho pensato a quando mio padre, asiaghese ferreo, mi diceva sempre che ostentare felicità era peggio di lamentarsi. I montanari hanno questo senso del pudore che somiglia alla natura che li circonda. Mai ammetterebbero di aver bevuto troppo, ma sempre espongono le bottiglie a cui hanno tirato il collo. Credo si chiami onestà. E cosa c’entra coi petardi e la festa in piazza? C’entra perché quando il mondo era molto più semplice si faceva tutto, senza pensieri e sovrastrutture. Che poi erano robe da terroni se uno ci lasciava un dito. E in fondo, non siamo tutti terroni?