E così si vota di nuovo. Mentre tre quarti d’Italia sbraita in continuazione che “non ci fanno votare”, in realtà tra referendum, comunali, regionali, europee e cadute governi, votiamo abbastanza spesso direi. Ma guai a farlo sapere a chi dice che abbiamo premier non eletti senza sapere che, banalmente, la legge non prevede l’elezione diretta del premier. Le basi. Ma questa non è che una delle tante piccole sfumature che ci portano alla comprensione di come il vero problema in questo paese non sia nemmeno politico ma sia culturale. E se non c’è la cultura, intesa anche come conoscenza della materia, come comprensione delle dinamiche, allora è piuttosto evidente che la classe politica finisca col rappresentare questa tendenza.
Da quando si vota direttamente il candidato sindaco, ovvero da una trentina d’anni, si è sentito sempre dire che il voto va alla persona e non al partito. Che è un modo come un altro di de-politicizzare la scelta in cabina e renderla adesione emotiva, sulla scia di una simpatia o di un’immagine confortante. Nei tempi in cui, soprattutto nei comuni come quelli del vicentino, destra e sinistra erano due concetti di diversi approcci democristiani, la cosa aveva anche senso. Ora però non ce l’ha più. Un sindaco di centro destra, di questo centro destra, è un sindaco che è espressione di partiti che mai come adesso sono spostati su posizioni nette e per molti versi estreme. Nello stesso modo un sindaco di un centro sinistra che si sposta sempre più a sinistra fino al movimento populista guidato da Giuseppe Conte, è specchio di una chiara mentalità che poco conserva della cara vecchia DC dorotea. Nel mezzo c’è un centro che, per ora, non si capisce quanto possa incidere e lo scopriremo forse da domenica 25 settembre. Ma la sensazione è che il “grillismo” inteso come insieme di vedute politiche figlie di quel famoso “vaffa” sia vivo e vegeto e sia entrato un po’ ovunque. Il qualunquismo ha contagiato tutti, non c’è partito che ne sia esente. Una maniera comunissima di semplificare tutto, di diffidare dalla complessità, di riportare al concreto concetti che avrebbero bisogno di analisi ben più lunghe e calibrate. Non più politici, ma influencer che giocano a sparare la banalità demagogica più grossa per accontentare la fame di civiltà di un popolo arrabbiato.
Ma la rabbia bisogna potersela permettere. Si deve cioè sapere come stanno le cose, o almeno informarsi il più possibile, prima di dire “eh no, così non va!”. Altrimenti è tutto e solo un catalogo di desiderata che poi il politico-uomo qualunque, innalza come bandiera. Il vaccino, il green pass, le bollette, il sussidio, l’Europa, gli immigrati, i gay, le armi, Putin, la Nato, la Cina e l’elenco potrebbe durare tantissimo. Tutti tasselli di una annichilente teoria che porta ad un uso insensato del rasoio di Occam. I soldi dalla Russia che li abbia o meno presi Salvini è irrilevante, anzi, forse è più grave se non li ha presi perché fare quelle cose “a gratis” è oltre ogni logica. Però, cari lettori, qui o si fa la cultura o si muore. Altro che patria. I soldi, siano rubli o nostranissimi schei, sono in mano a gente che ha fatto scendere il livello ad un punto più basso dell’ultimo dei bar sport. La colpa è loro ma è più nostra. A Roma (chissà se ancora ladrona) e a Vicenza e a Bassano: tutto uguale. Il film di Cetto La Qualunque, oggi pare un documentario. Buon voto.