MARCO RABITO: IL CLIMA, NOI E IL FUTURO

Meneghello torna utile: “S’incomincia con un temporale”. Quanto ci vorrebbe un bel temporale. Uno di quelli che cambiano la temperatura ad agosto. Che poi la sera ti copri addirittura e non ti par vero. Quei temporali estivi forti, potenti, impetuosi. Da quanto tempo non ci son più ormai. Come mai non ci sono più i temporali di una volta?

“Semplice: è troppo arido. Per ottenere un fenomeno come quello, serve molta umidità in atmosfera e questi mesi così secchi hanno predisposto alla persistenza di una massa d’aria poco incline ad essere sollevata. Perché accada servirebbe umidità che la renda più leggera e la presenza di bassa pressione. In montagna, ad esempio, è diverso perché è il pendio stesso che dà la propensione all’aria a sollevarsi”.

“La situazione è bloccata da tanti mesi perché non c’è un cambio drastico della circolazione e ciò è da ricondurre agli effetti del cambiamento climatico. Per avere un caldo “normale” abbiamo bisogno dell’alta pressione delle Azzorre che negli ultimi anni sta però ben lontana dal Mediterraneo e quindi si forma bassa pressione dovuta alla diminuzione del gradiente di temperatura (differenza di temperatura tra poli ed equatore). Il cambiamento climatico comporta l’estremizzazione dei fenomeni, per la maggioranza verso le alte temperature. Il freddo rimane ma diminuisce di frequenza. In sostanza avremo poca neve in montagna d’inverno e sempre più caldo d’estate”.

Marco Rabito è un divulgatore scientifico prima ancora di essere un meteorologo. La sua abilità è quella di riuscire a spiegare cose complesse in maniera semplice e alla portata di tutti. E probabilmente il suo talento è tutto figlio della sua grande passione. Già, perché appassionarsi al meteo non è cosa molto comune ma Rabito non è banalmente uno che “fa le previsioni”, ma è un meteorologo che conosce il clima come parte fondamentale del vivere comune, del territorio, della salute nostra e del pianeta. Capire il clima è capire la condizione in cui versa il corpo stesso di quell’essere vivente chiamato pianeta terra.

A folgorare il giovanissimo Rabito è stata la neve. “La neve è l’ultimo baluardo di un clima che non esiste più”, dice. Fin da piccolo trovava in quei fiocchi bianchi soffici qualcosa di magico e fortissimamente affascinante. La nevicata del 1985 è stata il colpo di grazia e da lì in poi Marco comprese che quel mondo sarebbe stato il suo. Nel corso degli anni ha aperto siti di monitoraggio, ha stabilito una stazione meteo a casa e infine, nel 2010, prima dell’alluvione, ha preso la decisione di farne un lavoro. “Dopo la crisi del 2008 mi son chiesto se seguire la passione o no. Ho passato un mese in America per capire come funzionano i sistemi di allertamento, perché è quello che mi interessa forse di più. Il meteorologo è colui che riduce il rischio fornendo informazioni tempestive. Da noi ancora non è percepito così ma in America, ad esempio, se comunichi una quasi certa crisi atmosferica e poi non avviene, la popolazione non si lamenta per l’allerta ingiustificata ma dice “per fortuna non è successo nulla”. C’è rispetto e fiducia nel ruolo del professionista. Qui ti insultano se prevedi temporali prima di un evento all’aperto”.

Come si diventa professionisti?

“La professione del meteorologo non è riconosciuta in Italia perché è sempre stata in mano ai militari formati dalla scuola dell’aeronautica. Dagli anni ‘90 però l’università ha iniziato a formare meteorologi con la laurea in fisica dell’atmosfera. Personalmente sono certificato dekra e sono professionista ampro. Purtroppo in Italia ancora manca un albo e quindi non c’è tutela. Di fatto, chiunque può parlare del tempo facendo previsioni anche senza la minima attendibilità. Bisogna stare attenti alle fonti e seguire solo chi è riconosciuto come esperto”.

Che differenza c’è tra meteorologo e climatologo?

“Sono due cose diverse. Uno fa le previsioni del tempo e analisi su un passato prossimo. Se invece sposto lo sguardo verso il clima mi riferisco ad un arco di tempo almeno trentennale. Disponendo di uno storico di 30 anni allora faccio un’analisi climatologica. Che è fatta di ampiezza e frequenza delle anomalie. E ottengo i dati che mi spiegano come stanno mutando le cose. Il luglio di quest’anno è stato il luglio più caldo da quando disponiamo di dati. Una cosa è certa:  l’estate sta rubando sempre più giorni a maggio e a settembre”.

Eppure esistono i negazionisti del cambio climatico e del surriscaldamento globale. Come te lo spieghi?

“Trovo inconcepibile non notare l’arretramento dei ghiacciai o il fatto che non nevica in pianura e fa sempre più caldo. Le evidenze sono enormi. E poi c’è il regime delle piogge: abbiamo lunghi periodi senza precipitazioni e poi quando piove, piove troppo. Il mediterraneo ora è 5 o 6 gradi più caldo della norma e questo può provocare disastri perché l’energia alle perturbazioni la dà il mare e rischiamo di avere ad ottobre un mare con temperature estive su cui arrivano le perturbazioni autunnali e l’interazione tra masse d’aria di due stagioni diverse può essere deflagrante. Questo è il lavoro nostro. Noi già oggi vediamo i rischi di ottobre. Dobbiamo fare prevenzione e non lavorare solo e sempre in emergenza!”.

Cosa può fare invece il singolo che si preoccupa di quanto sta accadendo?

“Innanzitutto cambiare il consenso politico. E parlo sia di chi sottovaluta l’emergenza che di chi invece sposa un ambientalismo esasperato. Bisogna lavorare sulla cultura dei cittadini a partire dalle scuole. Greta ha avuto il merito di sollevare l’opinione pubblica ma non arrivano da lei le soluzioni, devono arrivare dai tecnici, da chi ha competenza. Ma la scienza ha un limite ed è la difficoltà a raggiungere i cittadini. Diventa spesso incomprensibile e l’uomo della strada, quando non capisce, lascia perdere. Devi invece spiegare qualcosa di complesso rendendolo semplice ma senza banalizzarlo”.

Che agosto ci aspetta?

“La configurazione al momento bloccata e non si vedono segnali di sblocco. L’ipotesi più probabile è che fino a metà settembre sarà difficile avere un cambio. Non c’è più la prima pioggia di agosto che rinfresca il bosco. Dieci anni fa gli stabilimenti balneari mi chiedevano se faceva bello o brutto, oggi mi chiedono se fa troppo caldo perché il troppo caldo è diventato maltempo. Il tema vero è la siccità comunque. Può diventare una catastrofe”.

Abbiamo iniziato parlando dei temporali di una volta che non ci sono più, ma c’è un altro fenomeno che per noi era normalissimo e che sta scomparendo: la nebbia.

“Certo. Sta diminuendo a causa dell’aumento delle temperature e poi sono cambiati gli inquinanti perché per generare condensazione serve particolato e negli anni ‘60 e ‘70 si produceva anidride solforosa che favoriva questo, mentre oggi le cose sono cambiate e inoltre c’è più vento di prima. Di sicuro respiriamo un’aria molto più pulita di quella di 50 anni fa. Anche per questo trovo ingiusto colpevolizzare le auto solo per far vedere che fai qualcosa. Sarebbe giusta una politica mirata a cambiare le caldaie. In ogni caso trovo sia sensato togliere le macchine dai centri storici.

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