Il Festival Biblico rappresenta un appuntamento con la qualità, il gusto e la riflessione intellettuale vera, mai lasciata andare verso il mero intrattenimento ma sempre accompagnata da una presenza spirituale colta e al contempo popolare. Nessun elogio potrà mai bastare per ringraziare Roberta Rocelli e tutte le donne e gli uomini che lavorano per portare a Vicenza e in tutto il Veneto questa rassegna fondata non solo sulla lettura contemporanea del Sacro Testo ma sempre calata sull’uomo, centro di ogni dibattito. Quest’anno era inevitabile che il tema dei temi in questa drammatica attualità, entrasse di diritto come protagonista di più incontri.
Quello di venerdì 27 maggio era particolarmente atteso, anche perché uno dei due protagonisti è diventato, negli ultimi mesi, un volto ormai famigliare a milioni di italiani. Parliamo di Dario Fabbri, direttore della rivista mensile di geopolitica “Domino” e compagno di maratone di Enrico Mentana su La7 da quando è iniziata la tragica guerra in Ucraina. Anche per motivi di impegni televisivi, Fabbri non poteva essere presente fisicamente ma il suo volto campeggiava in primo piano nello schermo posizionato sul palco che vedeva Costanza Spocci (Radio 3 Mondo) in veste di moderatrice e Guido Dotti, monaco economo della Comunità di Bose, come ospite in carne ed ossa, immersi nel verde del lussureggiante giardino del Vescovado.
I due protagonisti dell’incontro, partendo da posizioni differenti, hanno terminato accettando la realtà dei fatti che, ad oggi, vede la tanto agognata pace ancora lontana. Ma esiste una sola pace? Si dice ci siano molte guerre e si è anche coniata l’espressione “guerra giusta” (corretta da Dotti in “guerra legittima”) per definire azioni che, di fatto, si presentano come necessarie per fermare disastri altrimenti maggiori. Ma la pace? Esiste anche una pace sbagliata? Fabbri ha evidenziato come anche la sua origine semantica cambi a seconda dei popoli e, con essa, il significato ultimo. Per i romani vi era una pax che non significava altro che controllo, dominio sulle terre occupate e quindi assenza di guerre. Per noi oggi “pace” ha un significato più vicino al concetto di libertà, ma anche qui ci sono dei distinguo. Il termine russo “sloboda” viene tradotto come “libertà” ma la radice “slo” indica uno stato di caos, un movimento continuo, una sorta di minaccia. Del resto per i russi il benessere, mai raggiunto al punto tale da vivere come sacrificio la sua perdita, è decisamente altra cosa da come lo concepiamo noi, legato alla libertà, e di conseguenza lo è anche il loro rapporto con la guerra. Per capire che pace cercare si deve quindi prima capire cosa intendono per guerra i popoli, come quello russo, che ne hanno una visione diversa dalla nostra.
Guido Dotti, con ironica disillusione ha fatto notare come ai pacifisti si chieda cosa fare solo quando la guerra c’è già e non prima, quando i costruttori di pace sono invece indispensabili. La guerra si deve prevenire vivendo come “un artigiano della pace che insegni e tramandi ogni giorno il valore intrinseco dell’armonia e della concordia”. La serata si è chiusa entrando più concretamente tra le pieghe del conflitto in atto. Dario Fabbri si è detto assolutamente convinto che la vittoria di Putin non convenga davvero a nessuno in occidente e tanto meno a noi in quanto Italia. Siamo, volenti o nolenti, cobelligeranti: tra il non intervenire affatto e intervenire aiutando con armi e intelligence è comunque sempre meglio fare quello che più ci conviene. Ma non tanto nel nome della più facile geopolitica ma nell’interesse della democrazia.