La sala grande del Comunale è gremita e il pubblico è in piedi e non smette di applaudire. Jan torna sulla scena, si prende il trionfo come un navigato divo del palcoscenico. La sua composta eleganza nasconde un ragazzo cresciuto in fretta sulla tastiera, sua compagna da quando era ancora in età da giocattoli. E la musica è il gioco migliore per un bambino, quello che fa sognare e volare là dove nessun altro arriva. Ma quanti sacrifici, quanta diversità rispetto agli altri ragazzi “normali”. Jan Lisiecki non vuole essere chiamato ragazzo prodigio. Dice che ha semplicemente trovato prestissimo la sua vera ed unica passione. Rimane il fatto che a soli 27 anni è già ritenuto dalla critica musicale e dai grandi direttori d’orchestra come uno dei pianisti più ispirati e preparati del panorama contemporaneo. Nato in Canada nel 1995 da genitori polacchi, è stato avviato allo studio del pianoforte quando aveva appena cinque anni. A 15 anni ha firmato un contratto in esclusiva con la Deutsche Grammophon, nel 2013 è stato il più giovane artista della storia a ricevere un Gramophone Award come artista giovane, oltre ad un Leonard Bernstein Award. Nel 2012 è diventato ambasciatore Unicef per il Canada. Se non è un prodigio ditemi voi. E questi pensieri affollano le menti di molti mentre Lisiecki è lì a godersi gli applausi.
Ha appena eseguito un concerto straordinario suonando i 12 studi di Chopin (op.10) e 11 notturni sempre del grande compositore polacco. Si dice che ci vuole grande maturità per affrontare tutti i colori, le sfumature, lo struggimento di Chopin. Eppure il “poeta del pianoforte” è nei programmi di ogni pianista che si rispetti in ogni angolo del globo. Però c’è Chopin e Chopin, e quello di Lisiecki è uno dei migliori Chopin si possano ascoltare in questo momento. Jan forza a volte forse un po’ troppo i chiaroscuri ed ha una mano che passa da fortissimi a pianissimi con una naturalezza rara. Più di un pensiero va all’assoluto degli assoluti, ovvero l’inarrivabile Arturo Benedetti Michelangeli. Certo, di concerti e di lavoro deve farne ancora tanti il ragazzo canadese, ed il paragone è di quelli che ti schiaccia, ma è indubitabile che la sua straordinaria maturità interpretativa, il suo suono distintivo e la sua sensibilità poetica, lascino a bocca aperte. Il New York Times lo ha definito “un pianista che sa fare in modo che ogni nota conti”. Durante il Notturno in Si Bemolle Minore o nello Studio 12 op.10 o nel Notturno in Re Bemolle Maggiore, a stento si poteva trattenere l’emozione. E quindi quegli applausi finali erano sfogo di 100 minuti di intensità viscerale. Il ragazzo si risiede al pianoforte e, guardando la platea, dice “Notturno di Paderewski”, altro compositore polacco, a testimoniare un legame con le sue radici ed una struggente, dolcissima, malinconia tutta mitteleuropea. Una serata da ricordare.