Vicenza dopo l’avventura della candidatura a capitale della cultura. Due opinioni opposte a confronto. Per un laboratorio di idee.

L’avventura di Vicenza Capitale della cultura non è affatto terminata con la proclamazione di Pesaro e la conseguente, naturale, delusione. Anzi. Il progetto ha destato la città dalla sonnolenza e, com’era ovvio attendersi, sono arrivate critiche e lodi, consigli e dubbi, e divisioni in fazioni. Non pensiamo sia negativo, crediamo piuttosto sia un segnale di volontà propositiva, e che in questo sia stata raggiunta una vittoria chiara: Vicenza oggi parla di cultura in maniera diversa da prima.

Abbiamo così scelto di dare voce a due posizioni contrapposte, affinché il lettore possa farsi un’idea personale. Da una parte il Professor Paolo Lanaro, scledense, scrittore, docente di filosofia e membro dell’Accademia Olimpica. Ringraziamo il professore per averci concesso di pubblicare la sua lettera pubblica, già comparsa sui social. A far da contraltare abbiamo scelto Marco Marcatili, responsabile sviluppo per Nomisma e coordinatore del dossier di candidatura. A lui un sentito grazie per la chiarezza e la disponibilità. Buona lettura.

PAOLO LANARO

Ho letto il dossier preparato dall’amministrazione per ottenere il riconoscimento di Capitale della cultura nel 2024. Dico subito che non ne ho avuto la possibilità, ma se l’avessi avuta, avrei sicuramente remato contro e anche con un certo vigore. Nel dossier, infatti, non c’è nulla. E stupisce che da un brain-trust così nutrito (numericamente) non sia venuto fuori alcunché. Mi limito a un paio di osservazioni. Si parla di “cultura” e sostanzialmente si intende la cultura d’impresa. Che naturalmente esiste ed è di sicuro all’origine delle fortune economiche del Vicentino. Ma il problema è che la cultura d’impresa è solo un aspetto, e non so nemmeno se sia il più importante, dei processi culturali in senso lato. Io non la chiamerei nemmeno così. Preferirei parlare di spirito o capacità imprenditoriale. Determinata da fattori educativi, familiari, caratteriali, storici, sociali ecc. Ora, quello che mi chiedo è: per quale ragione uno dovrebbe partire da Campobasso o da Savona per venire a Vicenza a visitare una fabbrica? O per scoprire che l’ingente PIL della nostra provincia si costruisce sull’industria orafa, su quella tessile, su quella metalmeccanica e sulla meccatronica? Cambio argomento: Palladio. Tra parentesi, la prima metà del dossier è un saggetto, tipo dottorato, sulle fabbriche palladiane. Palladio è la fortuna e nello stesso tempo la maledizione di Vicenza. Ma da Palladio ormai non si può più ricavare nulla. Certamente non di più di quello che è stato ricavato finora. I suoi palazzi sono lo sfondo imprescindibile della città, ma ne rappresentano il passato, non il futuro. Diciamo che Andrea di Pietro della Gondola incarna la dimensione museale di Vicenza, non quella creativa. Va benissimo, ovviamente, ma a patto che si accetti di identificare la città con la forza monumentale e scenografica delle costruzioni palladiane. A scorrere il dossier, si ha la sgradevole impressione che a parte Palladio a Vicenza ci sia ben poco (il che, in fondo, è vero). Io non so come si faccia a integrare l’arte e i manufatti del passato in un presente difficile, prismatico, instabile, incerto, pericoloso come il nostro. Ma i direttori dei musei, o dei comparti culturali, o delle istituzioni deputate alla diffusione del sapere, proprio questo dovrebbero fare. A me sembra invece che da tempo si faccia un po’ di vetrina e che tutto finisca lì. Posso sbagliarmi ovviamente, ma il senso e il carattere di certe iniziative sta lì a dimostrarlo. Aggiungo che il dossier di Rucco e soci, come del resto appare chiaro dalle osservazioni di cui sopra, invece di prefigurare scenari e di disegnare nuove possibilità, si limita a indicare, con un linguaggio pieno di presunzione, quello che c’è già. Il contrario di quel che ha fatto Pesaro, almeno dalle ricostruzioni giornalistiche che ho potuto consultare. E infatti Pesaro ha vinto. Al di là del fatto che là ci sia un’amministrazione di centro-sinistra e qui no. Ci sarebbero molte altre cose da dire. E molte omissioni da sottolineare. Ma è il senso del progetto, se così lo vogliamo chiamare, che latita. Credo che all’amministrazione manchi il senso del futuro. Si vive alla giornata, si rappattuma su qualche idea, si chiede alle “categorie economiche” se può andar bene. Punto. Ma la cultura è un’altra cosa. È la conservazione intelligente del passato e la sua proiezione in una realtà in continuo divenire. Non basta scrivere in un dossier “decolonizing Palladio” (ho domandato ad esperti cosa può voler dire ma non ho ottenuto risposte) o altre amenità del genere. Non basta più, credo, nemmeno avere un’idea di sviluppo. Qui i problemi sono ormai altri e, tra questi, la salvaguardia della tradizione storico-artistica, la difesa a oltranza (senza compromessi e cedimenti) dell’ambiente, la lotta alla povertà, sono quelli principali. Per capirlo non era necessario ricorrere ai ricercatori di Nomisma, bastava ascoltare quel che pensano della città alcune migliaia di cittadini.

MARCO MARCATILI

Io reputo una ricchezza le critiche e i punti di domanda, purché non in malafede. Per me, dopo mesi a Vicenza, sembra si sia ora in un apprendistato nel modo di far le cose. La città vive una prima volta e quindi si deve imparare a far meglio e a capire. Un percorso così strutturato grazie al binario della candidatura, Vicenza non l’ha mai sperimentato, Il dossier non è una mia creatura ma è un’operazione collettiva. Abbiamo investito perché quel dossier potesse far parlare più anime e più voci possibili. Le reazioni che io ho avuto dal mondo scientifico e culturale in giro per l’Italia sono state molto positive. Il dossier ha un metodo chiaro, c’erano contenuti, dati, valutazioni di impatto. La mia percezione è che sia un dossier di riferimento anche per le altre capitali. Si è sparsa la voce fosse un lavoro con un alto livello di qualità tecnica. La percezione di Vicenza, a Vicenza, è invece interessante. E’ una città che ha acquisito una visibilità che forse non aveva mai avuto. Il sindaco mi raccontava che la qualità delle relazioni degli ultimi mesi non l’aveva mai vista prima. Si è sviluppata una accesa attenzione da parte di grandi brand, di mondi mediatici e mondi culturali. Ovviamente dopo la mancata vittoria si sono levate voci discordanti, com’era prevedibile, ma ricordiamoci che in finale ci arrivi col dossier, mentre a Capitale ci arrivi con altre variabili. Sapevamo bene che poteva essere l’anno del centro Italia. Avremmo potuto effettuare una scelta conservatrice e decidere di candidarsi dopo, quando c’erano maggiori probabilità di vincere. Ma la città aveva l’esigenza di mettersi in movimento. Questo è stato il tratto vincente, per il coraggio che ha avuto il sindaco Rucco, per l’intuizione tutta sua che lo ha portato a capire dove potevamo arrivare e dove no. Per me l’obiettivo era la finale. Lui diceva “candidiamoci per fare delle cultura una leva dello sviluppo”. E aveva ragione. Con questo dossier la città è già cambiata. Oggi, quando si parla di cultura non ci si riferisce più ad un settore culturale particolare ma ad un sistema di relazioni per lo sviluppo futuro. Ieri si pensava fosse materia per gli addetti ai lavori, mentre oggi ci si accorge che nel grande calderone culturale ci sono il mondo del volontariato, il mondo della diocesi e il mondo dell’impresa. Tutti pensano che abbiamo utilizzato la leva dell’impresa ma in realtà la scelta è stata fatta perché era lo stesso mondo imprenditoriale che necessitava di un giro di vite per poter essere target attivo di cambiamento in città. Vicenza ha raggiunto una dimensione territoriale. Prima c’erano Vicenza e il territorio, oggi abbiamo Vicenza-territorio, uniti. La leva dello sviluppo riguarda una porzione più ampia e un’idea metropolitana di Vicenza. Questa dimensione l’ha introdotta il dossier, così come l’idea di cultura come ricerca, come sperimentazione, come dialogo di cui Vicenza aveva bisogno. Oggi la cultura non viene più vista nella logica della mera fruizione (classico legame diretto cultura turismo) ma nella logica della contribuzione culturale: scuole, associazioni, imprese, per far sentire tutti dei produttori culturali. Questione culturale come questione sociale. Questo è il fulcro del dossier. Altra cosa che mi preme dire è che la candidatura non era della maggioranza, ma della città e del territorio, e a tal proposito il contributo e la partecipazione attiva di Otello Dalla Rosa sono stati preziosissimi.

La grande novità è stata quella di puntare su un modello collaborativo. Non è stato un censimento, qualcuno si è sentito anche escluso, ma il “tutti dentro” nella collaborazione non funziona. Abbiamo usato un metodo che individua i soggetti rilevanti per dimensioni relazionali o di significatività. Questo è un approccio inedito per Vicenza e credo lo si potrebbe applicare anche in altri ambiti. Ad esempio sulla sicurezza, che è un prodotto della comunità. Il metodo collaborativo mette in campo una nuova idea di “istituzione comune” dentro ad una logica circolare.

E dopo? Quale è l’idea pratica del dopo? Il progetto è migliorabile ed è vero. Come è vero che siamo dentro ad una fase recessiva. Si tratterà ora di capire, rispetto alle esigenze, cosa si può realmente portare a termine. In agenda c’è già un’iniziativa pubblica per accompagnare la città alla lettura del dossier. E poi l’inizio di un percorso che aiuti a dire alla città cosa si vuol fare di quel dossier. Le idee più dirompenti non sono la presenza dell’impresa, ma il fatto di considerare l’impresa come luogo culturale. Era la prima volta che il ministero riceveva un progetto del genere. Mettere in relazione il visitatore/fruitore con l’impresa che diventa luogo culturale: questa è una cosa non fa nessuno. E poi c’è il welfare aziendale delle imprese dove il pacchetto dei servizi è scelto su una base importante di offerte. Questa idea ci ha fatto dire grazie anche dai sindacati che hanno ammesso la loro difficoltà nel riuscire a proporla. La domanda è: meglio 100 euro in busta paga o 100 euro per far studiare un ragazzo o farlo andare a teatro? Il tema era sconfiggere il “non consumo culturale” che è un dato altissimo in Italia. Il welfare culturale posso garantire che lo metteremo in atto. Si tratta di una sperimentazione, di una novità, e di qualcosa di cui vado particolarmente fiero.

Aprile 2024

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