Paolo Rumiz: “Canto per Europa”. L’incontro a Palazzo Cordellina.

L’Europa è un luogo geografico ma non solo. Rappresenta lo spirito e l’anima di popoli che da millenni hanno fondato civiltà, culture, valori fondanti.  L’Europa ora è sotto attacco come non accadeva da 80 anni e questo è il momento per una riflessione urgente ma profonda sul senso stesso di cosa significhi essere europei e sul destino del nostro mondo. Paolo Rumiz è triestino, parla veneto e respira Europa, è il bardo del senso stesso di europeismo. Già nel suo splendido libro “Il filo continuo” aveva raccontato di un continente unito dalla figura di San Benedetto e dai monasteri che portano il suo nome. Un’Europa accogliente, antica, in cui lui compie un pellegrinaggio per ritrovare ciò che di essa si è smarrito.

Jean Cousin il Vecchio, Giove ed Europa (1550 c.)

Ora è tempo per un nuovo viaggio. Tra la storia e il mito e con una scrittura tra poesia e prosa. Sabato 2 aprile Rumiz ha presentato a Palazzo Cordellina “Canto per Europa”, il suo ultimo lavoro per Feltrinelli. Ad introdurlo il presidente della Biblioteca Bertoliana, Chiara Visentin, il cui lavoro già abbiamo lodato su queste pagine. Visentin sta portando avanti un eccellente percorso di divulgazione e di rete. La Bertoliana è sempre più un avamposto culturale cittadino e va dato merito a questa direzione se i risultati sono importanti. Prima di dare la parola a Rumiz, interviene Bepi De Marzi, amico dello scrittore, che con alcuni membri di quel che fu il suo coro, farà da contraltare mistico e musicale alle parole del viaggiatore della Venezia Giulia.

“Il testo è un ibrido tra endecasillabi e testo normale ed è cosa rara – esordisce Rumiz. Parla di una giovane profuga siriana chiamata Europa che, su un barca antica come un grande ventre materno, arriva in un occidente che ha dimenticato il nome stesso di Europa. Abbiamo perso il senso del nostro destino nel mondo, e abbiamo pure dimenticato il mito di Europa e perché ci chiamiamo così”.

Ricorda Rumiz l’immagine di un giovane toro bianco (Giove) che si carica sulle spalle la ragazzina e la porta verso l’occidente nella prima grande isola che è Creta. Europa viene dall’Asia, dal Libano, da oriente. “Il nostro DNA lo conferma- continua – nessuno è arrivato dall’oceano. La gente viene dall’Asia e si europeizza. Inoltre Europa è benedetta dagli dèi. È una terra benedetta. Qui abbiamo la fine della monotonia e l’inizio di un territorio temperato e verde con in mezzo il blu del mare Mediterraneo. Europa è anche la metafora degli attuali migranti, soprattutto delle donne. Infine ci dice che noi abbiamo un’identità che senza il Mediterraneo non è comprensibile e quindi ci esorta di aggiungere al pensiero Atlantico anche il nostro pensiero della complessità. Da noi nacque la filosofia”

Il libro parla di una figlia della Siria in guerra che scappa in un luogo dove c’è la pace. Dice giustamente lo scrittore che “noi non ci rendiamo conto dell’importanza della pace perché da noi c’è da 80 anni mentre in tutto il resto del mondo no”. L’ovvietà della pace quindi, che a noi sfugge. Mentre la protagonista ama l’Europa più di noi, visto che noi, la diamo per scontata. “Il libro – prosegue Rumiz- è forse anacronistico ma solo perché il presente è spoetizzante. Guardate a queste grandi navi arroganti piene di migliaia di turisti. Serve tornare alla poesia antica, quindi ho scelto un ritmo favolistico come quello della nonna che è fatalmente settenario o endecasillabico. Un libro difficile che non è una birra da bere tutto in un colpo ma una grappa barricata da bere accanto al fuoco la sera meditando su ogni riga”.

Tre anni per scriverlo. Anni pieni di domande. Quale è il confine? Oriente e occidente convivono in Europa? Europa è ovunque, è un desiderio. Europa è il sogno di chi non ce l’ha, non di chi l’abita, sazio da secoli. Un viaggio che posa i piedi nelle parole di Puskin, nella cultura contadina, nel canto, nella carne. “Europa è donna – spiega– in quanto simbolo della femminilità e come tale è madre dei popoli venuti da Oriente e della terra a cui donerà poi il suo nome, infrangendo così il confine tra Asia e la stessa Europa.  Sono questi i momenti in cui tornare a spiegare chi siamo e farlo abbracciando il mito è un nuovo atto fondativo”.

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