“Charles era molto arrogante. Non voleva parlare con la gente. Disprezzava molte persone, ma l’unico uomo che davvero rispettava era Duke Ellington a tal punto che in sua presenza quasi non alzava lo sguardo. E Duke gli urlava spesso contro: “Charles!” E lui: “Scusa Duke”. Era come totalmente diverso”.
Così la scrittrice Fran Lebowitz descriveva quel genio impossibile che fu Charlie Mingus. Un despota, misogino, imponente nella stazza e nella personalità spigolosa. Rivoluzionò il jazz, anticipò il free, fu maestro della Third Stream, e rimase sempre visceralmente legato alla più genuina tradizione della cultura e della musica afro-americana. Dedicare alla sua arte l’edizione di ritorno del festival jazz di Vicenza è stata un’idea doverosa da un certo punto di vista (considerando il centenario) ma anche molto intelligente perché Mingus era e rimane una fonte unica di ispirazione al di là del contesto storico. Mingus vuol dire contaminazione, lui stesso era un meticcio, un bastardo, come si autodefinì nella sua biografia romanzata del 1971, intitolata per l’appunto Peggio di un bastardo. La sua grandezza risiede nell’aver unito il Jazz all’opera sinfonica. Arrivò all’apice tra la fine dei ’50 e i primi ’60 con capolavori assoluti come “Pithecanthropus erectus”, “The Clown”, “Ah, Um”, Mingus, Mingus, Mingus, Mingus” e l’assoluto, monumentale, irripetibile “The Black Saint And The Sinner Lady” punto di non ritorno della sua opera sincretica. La morte di Eric Dolphy lo devastò a tal punto che la sua vita cambiò radicalmente. Finì addirittura in un ospedale psichiatrico, senza un dollaro. Tornò negli anni ’70 con altri lavori epocali come i due “Changes” e poi morì nel 1979, per un infarto dovuto a una malattia rarissima, la sclerosi amiotrofica laterale (il morbo di Gehrig), che da tempo lo costringeva sulla sedia a rotelle.
Non solo Mingus nel programma, ovviamente. Riccardo Brazzale ha allestito un cartellone ricchissimo e Luca Trivellato con la sua azienda, che compie un secolo anch’essa, ha aumentato il suo impegno a sostegno della rassegna, a dimostrazione che dove ci sono progetti seri e continui le imprese diventano partners culturali veri e propri. Tra ritorni ormai classici come quello di Bill Frisell e John Scofield a nomi assolutamente di punta del panorama contemporaneo come il contrabbassista israeliano Avishai Cohen e il pianista statunitense Vijay Ayer, due autentici fuoriclasse. Presenteremo il programma dettagliato quando ci avvicineremo alla data di partenza che è quella dell’undici maggio. Undici giorni (fino al 22) con una coda estiva di altri 4 giorni dal 14 al 17 di luglio. Seguiremo i momenti cruciali e parleremo con gli artisti e indosseremo il pork pie d’ordinanza.