Esclusiva di ViCult: un’intera giornata a Vicenza con Enrico Vanzina.

Tu pensi ai Vanzina e magari ti viene in mente una battuta di Christian De Sica a tavola a Cortina. O la bellissima Renée Simonsen sfilare dentro alla Milano da bere. O il tifoso Abatantuono incitare alla “viuuleenza!”. Ma dopo poco ti rendi conto che in realtà stai pensando più a te stesso. E, se hai superato il mezzo del cammin della tua vita, ti ricordi che per ogni loro film c’era una tappa del tuo percorso di crescita. I film di Carlo ed Enrico Vanzina hanno accompagnato per decenni un’Italia da cartolina spensierata ma pronta a ridere di sé. Hanno cavalcato trend e tormentoni, sono stati attente istantanee di un paese che esplodeva di benessere negli anni ottanta e che poi via via si è un po’ immalinconito e volgarizzato.

E così, mentre vado verso la stazione di Padova all’appuntamento con Enrico Vanzina, i miei pensieri prendono il largo. Enrico sarà ospite in città per una giornata intera e avremo il privilegio di seguirlo passo passo. L’uomo, fin dal primo impatto, si dimostra più che altro un ragazzo cresciuto. La vitalità e la naturalezza, unite ad una cortesia e semplicità disarmanti, ti conquistano subito a tal punto che par di stare con un vecchio amico. E, di nuovo, pensi agli anni della tua adolescenza quando al liceo ti sentivi anche tu un ragazzo della terza C. Enrico sale in macchina e inizia a parlare. La sua capacità di sfornare aneddoti è incredibile. D’altronde non è minimamente faticoso per lui. Figlio del grande Steno, ha respirato cinema fin dalla nascita. Viveva circondato da gente come Vittorio De Sica, Totò, Alberto Sordi. La storia, non del cinema ma proprio quella con la S maiuscola, passava per casa sua ogni giorno. Ecco perché quest’uomo è ben più della somma delle sue sceneggiature e regie. Enrico Vanzina è un testimone assoluto di 70 anni di storia italiana. Attraverso il cinema, chiaro, ma in questo caso la parola “cinema” va oltre il mero significato tecnico. Cinema è anche tutto quello che ci sta attorno. Le chiacchiere, le risate, i sogni, i progetti. Le vacanze. La gioventù.   

“Suonavo il piano a Cortina – mi racconta Enrico- proprio come Jerry Calà  in “Vacanze di Natale”. Ero giovanissimo e mi innamorai di una dj dalla bellezza mozzafiato. Rimasi a Cortina mesi, quando all’inizio doveva essere solo una breve vacanza. Non ti dico come la presero i miei”.

Conoscere Enrico Vanzina ti fa capire subito come nei suoi film ci sia lui stesso e come prenda a piene mani dalla realtà ogni personaggio che poi finisce sullo schermo. L’Italia è un archivio infinito di tipi da cinema. Ma il primo ad esserlo è proprio lui, Enrico.

Siamo in macchina verso Vicenza, passiamo vicino alle Padovanelle. Lui riconosce subito l’ippodromo. Mi chiede se ho presente “Febbre da Cavallo”. Come potrei non averlo presente, gli rispondo. Al che parte un altro aneddoto: “Il gioco dei cavalli era una presenza fissa nella mia vita. Ma proprio esattamente come Proietti nel film, paro paro. E pure io avevo una donna che non sopportava questo mio vizio. Mi disse di smettere di giocare altrimenti non mi avrebbe mai sposato. E io smisi. Non misi piede in un ippodromo per molti anni. Poi, un giorno, io e mia moglie fummo invitati ad una corsa e non potevamo rifiutare. Entro alle Capannelle e mi pare di tornare a casa. Ma lì succede qualcosa di incredibile. Nella corsa che sarebbe partita dopo poco, c’era un cavallo che si chiamava “Soldatino”! Mi parve una specie di scherzo del destino, non ci volevo credere. Guardo in cielo e dico “papà questo me lo devo giocare, è un segno”. E così penso di puntare un milione tondo tondo ma poi un altro pensiero mi prende. E se invece fosse una prova per capire se riesco a resistere? Ai cavalli si perde sempre, è scientifico. Così mi gioco appena 50 mila lire. E che succede? Mentre io divento paonazzo e urlo “Daje soldatino daje”, quello non mi va a vincere?”

Ride molto mentre me la racconta e in effetti è una storia assurda. Capisco che dietro ad ogni frase, ad ogni intuizione, c’è la necessità di sentire quello spirito leggero, anche un po’ goliardico, che sta tra il cazzeggio e il disincanto. Il suo cinema è stato spesso criticato perché superficiale, disimpegnato, ma lui ne è assolutamente consapevole, ed è di quell’Italia che ha sempre voluto parlare. L’Italia degli sfigati nel gioco, degli imbroglioni, dei cornuti e dei traditori, delle macchiette ridicole, dei tipi da spiaggia. Disimpegno, certo, ma uno specchio reale delle nostre miserie.

“Ridere mentre scrivo per me è fondamentale. Ricordo come fosse ora quando scrissi “e anche questo natale ce lo semo levato dalle palle” e continuavo a ridere pensandoci”.

Arriviamo a Vicenza. Ci attende il vero responsabile del tutto, ovvero Luca Dal Molin, direttore della Biennale del Cortometraggio, che ha organizzato questo incontro con Vanzina dentro alla rassegna “Cinema É Letteratura” che vedrà l’arrivo in città anche di Silvia e Paola Scola e di Chiara Francini.

Il progetto di Luca prevede, come sempre nelle sue rassegne, anche la fondamentale partecipazione delle scuole, oltre che l’incontro col pubblico. Per gli studenti è molto più che un bel modo per non far lezione. É un’occasione unica per conoscere persone importanti e attingere direttamente dalla fonte di una piccola parte della storia di questo paese.

Andiamo al Liceo Quadri, dove ci attende la prof. Roberta Lievore, instancabile promotrice e ormai a pieno titolo collaboratrice negli eventi di Dal Molin. Enrico mi chiede se i ragazzi sapranno chi sia, se avranno visto i suoi film. Io gli dico che i suoi film uno li ha visti anche se non vuole.

L’incontro coi ragazzi dura quasi due ore. Sono attentissimi, silenziosi. Fanno domande che nemmeno giornalisti di esperienza farebbero. C’è da essere orgogliosi di questi giovani, pure Vanzina lo ribadisce.

E lo sottolinea anche Mario Sesti, critico cinematografico tra i più noti ed importanti d’Italia, che sarà relatore di tutti gli appuntamento della rassegna.

Luca Dal Molin, Mario Sesti ed Enrico Vanzina al Liceo Quadri

“A scuola ero un casinaro – dice Enrico rivolto agli studenti – ne ho fatte di tutti colori. Eppure intimamente sono sempre stato pessimista. Da ragazzo appesi al muro della mia stanza una frase che diceva “quando le cose vanno bene non bisogna spaventarsi, tanto passano”

“La commedia all’italiana, alla fine, è trattare un argomento drammatico in un modo leggero. Se a scuola, invece di studiare solo i Promessi Sposi, si potesse vedere un film a settimana della commedia all’italiana, si capirebbe tutto di questo paese”.

Un ragazzo gli chiede un consiglio su che film vedere che ci possa cambiare la vita. “Io penso sia difficile. Credo che lo stesso film se lo vedi un pomeriggio triste da solo ti dice una cosa mentre se sei con una ragazza magari è diverso. Un film italiano per capire bene cos’è l’Italia in ogni caso credo sia “C’eravamo tanto amati”


“Il cinema deve rispecchiare la vita, nei dialoghi, nei modi- continua Vanzina. Tarantino ha destrutturato tutto e ci ha riportato al senso vero del cinema. Io sono innamorato di tutte le cose popolari, degli uomini e delle donne. Mi innamoro di continuo e quindi soffro spesso. Che consiglio darei a chi vuole fare il cinema? Intanto si deve fare gavetta. Non fai cinema col telefonino. Il cinema è un lavoro collettivo. Chi dice “il mio cinema” non capisce nulla. In un film c’è il regista, c’è lo scrittore, ci sono gli attori e poi i costumi eccetera… È sempre un lavoro di gruppo. Voi fate lo scientifico ma è come faceste il classico. Chi fa cinema deve conoscere la letteratura, capire il racconto, la struttura narrativa. Devi conoscere la pittura, ovviamente la storia del cinema e altrettanto ovviamente la musica. Il cinema è tutto. Se un soggetto è buono lo vedi dopo una pagina e mezzo perché capisci se c’è l’idea. Poi, nel caso, si fa la sceneggiatura che è il film, con tutta la storia, con le scene , i movimenti, le pause, tutto…. Tutto è scritto, parlare di cinema e di scrittura significa dire che il cinema vive di scrittura”.

“L’arrivo delle piattaforme apparentemente non ha cambiato nulla. La tecnologia non si ferma. Quando nacque la tv dicevano le stesse cose di adesso, ovvero che i cinema avrebbero chiuso. Invece bisogna sempre fare i conti con le novità. Certo, le piattaforme portano una mentalità completamente diversa. Il mercato ora è il mondo, non è più locale. Quindi si tende a fare un prodotto medio che è magari meno sincero, visto che deve andare bene per tutti quanti. Le serie sono per la maggior parte degli stiracchiamenti di storie, anche se ce ne sono alcune di splendide. Però credo che tutto quello che è serializzato diventi giocoforza prodotto da supermercato. La serializzazione porta a serializzare l’amore, le emozioni, le amicizie e a farci tutti prodotti industriali. Su Amazon Prime comunque adesso trovate il mio ultimo film “Tre Sorelle” che credo sia un esempio di commedia all’italiana contemporanea. Tornando a Netflix e simili, c’è una cosa che è vantaggiosissima: i film in lingua originale! Guardateli sempre in questo modo!”

La mattina termina con la firma degli autografi e le dediche nel suo libro “Mio fratello Carlo”, romanzo intensissimo che Enrico ha dedicato a Carlo, il fratello, l’amico, il collaboratore, il compagno di una vita. La malattia e la morte sono le protagoniste del libro, arrivato in finale allo Strega e che è un bellissimo modo per entrare dentro all’uomo Enrico Vanzina.

Andiamo a pranzo. Prima una passeggiata per il centro. Enrico prende delle foto della piazza. C’è il mercato. Non la mattina ideale per fare turismo. Al pomeriggio va meglio e facciamo un salto a Villa Valmarana ai Nani e poi di nuovo in centro città con più calma. Molti lo fermano, uno si sbaglia e gli dice “benvenuto a Vicenza Carlo”. Noi ridiamo. In fondo i due fratelli sono sempre stati considerati una cosa sola. La gaffe è perdonata.

Alle 18.30 c’è l’incontro col pubblico presso la galleria d’arte “& Art Gallery” di Nicola Bertoldo. A differenza della mattina, i toni qui si fanno più seri e la riflessione si sposta decisamente sul rapporto con Carlo e sui temi del libro.

“Io ho vissuto una vita meravigliosa con un grandissimo successo da giovane senza mai montarmi la testa. Ho fatto 60 film insieme a mio fratello. Siamo entrati nell’immaginario collettivo. Non avevo mai messo in conto potesse morire Carlo prima di me. Il libro racconta il suo ultimo anno, da quando ha saputo di essere malato a quando è morto. La prima volta che l’ho presentato, è stato al festival della letteratura di Pordenone. Avevo il cuore spaccato in quattro. Alla fine hanno chiesto se c’erano domande e si è alzata una signora che ha detto che aveva conosciuto Carlo in ospedale dove, con un ago in vena, stava seduto vicino al marito di lei. Hanno passato qualche mese insieme, sono diventati amici e sono morti entrambi. La signora era di Lecce, ma quando vide che avrei presentato questo libro, prese un treno per poter essere a Pordenone. Mi commosse profondamente. Il libro insegna cos’è la morte e quindi insegna cos’è la vita. Come si affronta la morte con coraggio e stoicismo. Il percorso verso la morte insegna a capire e a riassumere la tua vita”.

“Un giorno, mentre lavoravamo al nostro ultimo progetto, c’era un gran silenzio (lui stava molto male) e Carlo si è alzato ed è venuto verso di me, mi ha toccato i capelli e mi ha detto “stai tranquillo, io ho avuto una vita meravigliosa”. Qui Enrico si commuove. Il pubblico presente lo applaude. Tutto è come un incontro tra amici, la spontaneità che provoca quest’uomo è quella tipica dei grandi.

Enrico Vanzina e Mario Sesti alla presentazione in “& Art Gallery” di Nicola Bertoldo

Finiamo a cena al Borsa. Risate e ancora aneddoti. Dietro di noi c’è un pianoforte. La tentazione è irresistibile. La serata termina con Enrico che ritorna al suo primo amore e ci intrattiene cantando e suonando. Vedermelo davanti che mi guarda mentre esegue “Ancora” mi fa ricordare i miei anni ottanta, la leggerezza di quelle vacanze di Natale, il ricordo di un passato in cui forse ci saremmo immaginati un futuro migliore. Un ultimo brindisi e ci salutiamo.

“Essendo Benjamin Button, ora sono giovane e non ho più rimorsi. Non cambierei nulla. Sarei un cretino. Sono stato molto molto molto fortunato. Forse perché avevo un po’ di talento ma ho fatto quello che volevo. Se non ho fatto qualcosa è stata colpa mia”

Enrico Vanzina al pianoforte del Bar Borsa
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